Autore
Ugo Venturini
Oltre il segno
La poetica artistica del Novecento, a partire dall’avanguardia storica, in questo
caso non solo l’organico ed anticipatore Futurismo, ma soprattutto Dada,
con l’intuizione oggettuale di Marcel Duchamp, orinatoi e ruote di bicicletta
investite di aura artistica dalla forza sciamanica dell’artista e gli assemblaggi
di Kurt Schwitters, si è cimentata con una concezione nuova dell’arte,
un’arte che fosse in grado di aprirsi al mondo, contaminarsi con il
quotidiano tramite l’acquisizione di reperti di realtà secondo la logica dell’
“objet trouvè”. Queste tematiche hanno trovato una diffusione su larga
scala, nell’ambito di un concetto e di una pratica di avanguardia
“normalizzata” a partire dal secondo dopoguerra. Con l’avvento del
successivo ciclo caratterizzato dall’ingresso in una fase di post modernità i
temi relativi ad un utilizzo dell’arte contemporanea come viatico per una
migliore qualità della vita hanno assunto, specie nell’ultimo quindicennio,
una evidente centralità.
Tutto ciò non ha mancato di provocare un serrato dibattito attorno al ruolo ed
alla funzione del linguaggio della scultura all’interno dello scenario
contemporaneo. Dibattito già introdotto nell’800, quando, agli spiriti più
sensibili, iniziava ad apparire con chiarezza come l’arte, dopo la Rivoluzione
Industriale, stesse velocemente ponendosi su di un sentiero di superamento
di canoni formali plurisecolari ed al centro delle accuse, come fu per
Baudelaire, si poneva proprio la scultura, accusata di staticità e
monumentalismo retorico e manierato, inadatto ormai ad esprimere i nuovi
ritmi e le sensibilità della vita moderna. Dibattito che proseguirà anche nei
primi decenni del Novecento, basti pensare ad un grande protagonista
come Arturo Martini che, in finire di carriera, seppe, con un saggio come “La
scultura lingua morta”, mettersi in discussione prefigurando i futuri sviluppi
di questo linguaggio e redigendo pensieri di notevole lungimiranza come “fa
che io non sia un oggetto, ma un’estensione”.
L’artista torinese è figlio della generazione anni Ottanta, che ben conosco
perché è quella in cui mi sono formato come critico, vivendone l’evoluzione
con intensa carica esistenziale ed empatica. Il lavoro di Venturini è
decisamente inseribile in quella linea di eclettismo stilistico che si sviluppa
dopo il 1984 ed è vigente, con alcune varianti, fino ai giorni nostri. Un
eclettismo che colloca il linguaggio dell’arte, come sottolinea anche il
grande teorico americano Arthur Danto, recentemente scomparso, in una
dimensione definitivamente post storica, in quanto non dipendente non
solo dalla metafisica o dalla politica, ma anche dal recinto di uno stile unico
ed uniformante.
Le opere di Venturini si affiliano pienamente con quelle degli autori italiani che,
dalla seconda metà degli anni Ottanta alla corrispondente fase del
decennio successivo, hanno rinnovato il linguaggio della scultura e
dell’installazione, trasportandolo dalla tradizione dell’avanguardia
novecentesca in direzione di un confronto con l’universo tecnologico e
mediale, nonché con le riflessioni sul rapporto tra naturale ed artificiale, in
sintonia con la teorizzazione del Posthuman di Jeffrey Deitch.
In Italia era attiva, in quegli stessi anni, una linea di tendenza sintonica, che il
nostro sistema ha preferito ignorare, favorendo l’ascesa, più di immagine
che di sostanza, di un neo concettuale debole e derivativo. Artista che
adopera un materiale nobile e non semplice come il marmo, Venturini
appare anche in sintonia con quella linea della nuova scultura inglese che,
da Moore ed Antony Caro, discende fino a Woodrow, per approdare agli
esiti di un artista come Marc Quinn, con uno stile assolutamente personale,
arricchito da quella dose di consapevole ed irriverente ironia che è
peculiare al linguaggio dell’avanguardia italiana.
Venturini realizza opere di varia fattura, con una predilezione per esiti in
equilibrio tra l’icastico e l’aniconico : strutture biomorfiche inchiodate al
suolo con chiavistelli, affinchè non perdano il loro essere “qui ed ora”,
composizioni minimali arricchite da inserti polimaterici, icone bidimensionali
metalliche con inserimenti oggettuali e brani di scrittura. Ma dove l’artista si
esprime con maggiore dirompenza visiva è con le sculture che costituiscono,
al tempo stesso, una violazione ed affermazione dei canoni classici della
disciplina, come nel caso delle figure extraterrestri dotate di protesi e di ali,
dalle fattezze assai poco rassicuranti, o delle mani perfettamente eseguite,
come fossero immaginari reperti provenienti dall’antichità, ironicamente
impegnate ad afferrare un topolino che pare uscito da un cartone animato, o
le concessioni ad uno stralunato e stravolto neo pop.
Lo stile di Ugo Venturini è un’affascinante e coerente miscellanea di stili che
congiunge la tradizione pre moderna della classicità, con il linguaggio
ipotattico della modernità barocca, passando per la tradizione
dell’avanguardia scultorea novecentesca, esclusa quella della linea
concettuale e poverista, alla quale appare estraneo, per giungere ai nostri
giorni, al liquido stallo della contemporaneità avanzata.
Ugo Venturini
On-line dal 16-10-2014 questa pagina
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