Autore
Davide Amerio
La vicenda del Venezuela ci viene proposta secondo dei canoni già ben oliati dal sistema mediatico: ci sono i buoni da una parte, e i cattivi dall’altra. Poiché a noi non interessa schierarci, ma semmai cercare di capire, iniziamo con il proporre degli articoli ragionati, ricavati dalla rete, che possano offrire differenti punti di vista, per permetterci la formazione di qualche idea oltre gli standard imposti dai media. Buona lettura.
Il pezzo che segue è stato prelevato dal blog parolelibere.blog.
Dal blog https://albainformazione.com/
di Anika Persiani
Ora vi racconto qualcosa. Con cognizione di causa dato che vanto una residenza in quel di San Antonio del Los Altos (Municipalidad Los Salias, Estado Miranda) e dato che, ogni due o tre mesi, piazzo il culo all’aeroporto Maiquetia di Santiago de Leon de Caracas. E, per di più, puntualizzo alcune cose per non dar luogo ad inneschi di polemiche strumentali e gratuite, dato che sarò io il vettore che il 4 di ottobre consegnerà i medicinali donati dalla Fondazione Turati all’associazione ASOBIEN che si occupano, appunto, di malati terminali di Parkinson, di Sclerosi Multipla e di Alzheimer. Ci sono associazioni che portano avanti gemellaggi donando palloni, magliette, quaderni, computer; e ci sono associazioni che donano farmaci, data la difficoltà che si ha nell’affrontare delle sanzioni economiche imposte da “paesi bravi” ai “paesi canaglia”.
Soprattutto sullo “stato Canaglia” caraibico, se ne sentono dire di tutti i colori. Che manca il cibo, che manca il sapone, che la gente cerca da mangiare nella spazzatura. Prima di tutto: stiamo parlando di Venezuela, un paese dove, da sempre, i ricchi stavano nelle mega proprietà e nei posti chic ed i poveri vivevano per strada, mangiando dalla spazzatura dei ricchi. Adesso, i poveri, hanno delle case popolari e vogliono vivere normalmente, pur non togliendo niente ai ricchi. È che, negli ultimi anni, anche le fasce più indifese della popolazione, quelli che prima erano “gli invisibili” ai quali nessuno faceva caso, né se mangiavano dalla spazzatura, né se dormivano alla stazione di Bellas Artes, hanno avuto i loro diritti, hanno studiato nelle università dello Stato, si sono laureati e sono diventati poveri più che visibili. E con una certa dignità. E, allora, cosa sta succedendo realmente? Perché tante contraddizioni nel dover raccontare una situazione anche troppo semplice? Perché farla apparire complicata quando non lo è, affatto?
Il punto è che, in Venezuela, quasi tutto finisce in mano dei “bachaqueros” (che possiamo definire speculatori, rivenditori, approfittatori e che io non esito a definire delinquenti), che si mettono in coda a qualsiasi ora (e questo è il loro lavoro) e che, pur di guadagnare facile, comprano tutti i prodotti non appena vengono messi in commercio (a prezzo politico, ossia ai prezzi minimi imposti dallo stato); insomma, li comprano e poi li rivendono a prezzi esorbitanti. Sono squadre e gruppi organizzati: fanno traffico di documenti di identità, pagando chiunque gli presti il “carnet” (oggi carnet della patria) per poter compiere i loro crimini. E questi sono cittadini “comuni”, non sono membri né del governo, né del partito. Sono imprenditori o persone che hanno grosse scorte di denaro che gli proviene dall’estero, in maniera illegale. Hanno sempre un parente o qualcuno collegato che, attraverso un conto corrente di un altro paese, riceve denaro in euro o dollari, ed un conto in Venezuela (milionario) con il quale si permettono di sborsare cifre importanti nel paese caraibico e che sono irrisorie rispetto ai conti che hanno all’estero. A volte queste stesse persone sono quelle che effettuano anche il cambio a nero, uccidendo l’economia di un paese.
In Venezuela c’è corruzione. È vero. Ma in qualsiasi paese in crisi economica esiste la corruzione, peraltro di basso livello e di scarsa incisività sul bilancio di uno Stato. E poi, noi, dall’Italia, vogliamo veramente prendere lezione di corruzione da Santiago de Leon de Caracas? Noi che paghiamo tangenti multimilionarie per far lavorare ENI in Africa o che sacrifichiamo anche la vita di ragazzini (il caso Giulio Regeni docet) per i nostri traffici internazionali per nascondere i nostri affari sporchi per ottenere concessioni per estrarre materie prime, dopo Mani Pulite e dopo aver avuto uno Stato che di corruzione e complotti ci ha tirato avanti 60 milioni di persone per più di settant’anni, vogliamo criticare? E negli altri paesi? In Giappone non c’è corruzione? In Perù, dove è stato pure concesso l’indulto a tale Alberto Fujimori Fujimori? Un presidente che, non solo ha rubato ed ucciso con il suo amico Montesinos, ma ha creato un conflitto fra ribelli e Stato che ha portato un paese intero a restare con il fiato sospeso per anni. In Europa non abbiamo avuto mai scandali di corruzione? Ma per favore! Se pure Audi, Volkswagen (in Germania), Chrisler e Ford negli Stati Uniti, sono riuscite a truffare addirittura sulle emissioni di CO2, cosa vogliamo criticare?
Non siamo proprio noi europei i leaders dell’apertura delle società Off Shore in paesi che manco in Google Map si vedono bene, e che le rendiamo una sorta di ago della bilancia per fare i nostri nuovi colpi di stato in mercati esteri deboli? Suvvia, noi che diamo lezioni di correttezza! E decidiamo chi siano i dittatori quando qua non siamo neanche liberi di respirare, se non attaccati ad un respiratore collettivo che ci fa inalare a tutti gli stessi principi senza che si possa pensare in modo diverso!
In Venezuela mancano i ricambi. Chiaro, se la maggior parte dei paesi ti impone un “blocco” nel commercio e ti spara delle sanzioni, invece che dei proiettili (e più o meno il tipo di guerra produce gli stessi danni), è chiaro che non ci siano i pezzi per essere sostituiti. Se nessuno te li vende, non è che da paese senza una storia industriale come quella europea, ti puoi mettere a produrre componenti di meccanica in stile General Motors. Pure noi, adesso, importiamo tutto. Le aziende le abbiamo svendute e chiuse! Chi riesce a far entrare ricambi nel paese, sempre tramite conti correnti all’estero e speculazione monetaria, chiaramente, vende i suddetti articoli a prezzi esorbitanti. E si arricchisce ancora di più, alla faccia del governo.
In Venezuela mancano alcuni medicinali. Bene, giustissimo. Ma se le aziende che li producono (le multinazionali, giusto per esser chiari), non li esportano per il blocco economico, non è che un paese, da un giorno all’altro, può mettersi a produrre farmaci se mancano le materie prime. Dalla Cina e dalla Russia comunque arriva quasi tutto. E a prezzi ridicoli. Una confezione di Atamel (antipiretico ed antidolorifico) costerebbe meno di un caffè preso dagli ambulanti, se non ci fossero delinquenti che ne comprano a chili investendo il loro capitale disponibile, e lo rivendessero ad un prezzo maggiorato di dieci volte. Molti farmaci vengono dati gratuitamente o in cambio della stessa cifra che noi pagheremo per i sacchetti biologici per frutta e verdura. Ci sono gruppi organizzati che riescono (anche sul web) a farti trovare quello di cui hai bisogno senza tanti problemi. Ciò che manca, nello specifico, sono: Metformina (per il diabete), Eutirox (per la tiroide), farmaci per la cura di malattie degenerative come Parkinson, Alzheimer, Schizofrenia, sindrome bipolare e, poi, alcune penicilline. E la storia di doversi iscriversi al Partito (se hai bisogno di qualcosa) è una leggenda metropolitana. Io sono straniera e quando sto a San Antonio de Los Altos, straniera rimango. Ho avuto bisogno di amoxicillina dopo essermi fatta una ferita grazie a degli stronzi che, durante una manifestazione, hanno distrutto, incendiato e dilaniato un ponte pedonale di ferro (ne hanno distrutti diversi, poi) che serve ad attraversare la Panamericana senza farsi tirare sotto da un auto. Non si trovava in farmacia e sono andata in un ambulatorio comunale. Mi hanno prestato tutte le cure del caso, messa in lista per l’amoxicillina e (dopo due ore) mi hanno telefonato per dirmi che avrei potuto ritirare (gratuitamente, ohibò) le 8 compresse necessarie già dal pomeriggio. Io, italiana nello Stato Miranda, quasi al limite del sospetto di essere una sovversiva organizzatrice di controrivoluzione, con tanto di passaporto italiano (che certo non passerebbe inosservato davanti ai funzionari del governo), sono stata curata e rispettata. Avrei potuto essere una “finanziatrice” dell’opposizione, una provocatrice in quel di San Antonio pronta a sparare merda sul governo, come fanno l’80% dei cittadini italo venezuelani che viaggiano oltreoceano a sparare cazzate che sono più dannose dei proiettili. E con me c’erano altri venti “infortunati”, tutti trattati nello stesso modo.
In Venezuela c’è l’iperinflazione. È chiaro: se gli stessi abbienti venezuelani speculano con la moneta, cosa ci dovrebbe essere? Mare piatto, scogli lisci e sole a catinelle? Se inneschi una miccia, difficilmente si ferma. E per quanto il governo cerchi di ridurre il contante, per ridurre l’inflazione, finché gli speculatori (in nome della pagina internet “Dolar Today” che fa il buono ed il cattivo tempo dell’economia venezuelana) continueranno a guadagnare sul cambio, non potrà certo esserci una stabilità dei prezzi. O, per meglio dire: se io comprassi, qua a Lima, tutti i giorni, tutta la farina in arrivo ai mercati generali e la rivendessi ad un prezzo più alto, nessuno potrebbe farmi niente, né incriminarmi. Io ho i soldi e compro. Esattamente come funziona in Borsa quando, con la compravendita di titoli azionari, si affossano le società per azioni. Solo che invece di fare un insider trading ad una società, lo si fa a basso livello. Se sai che una partita di medicinali è in arrivo (come accade in Venezuela) o assalti i camion che li trasportano (e succede, vengono anche dati alle fiamme perdendo i prodotti), o li compri e li butti sul mercato al prezzo che vuoi tu. Ho visto centinaia di camion assaltati e incendiati, o assaltati per rubare la merce e rivenderla. E questo, lo fa il governo?
In Venezuela c’è violenza. C’è sempre stata, come in ogni metropoli latinoamericana. Come a Lima, a Buenos Aires, a Rio de Janeiro. Non è che puoi sperare di avere una metropoli fatta da devoti e santi. Se la gente, dai campi, va nelle grandi città a cercare fortuna e non la trova, non è che si iscrive alla bocciofila di Poggio a Caiano. Tenta il tutto e per tutto per mangiare creando violenza, così, come un sistema di merda ci impone. Se ti servono i soldi e non lavori, rubi. E te lo dice una che, qualche mese fa, insieme a Luis Matute, è scampata ad un tentativo di sequestro, proprio sulla Panamericana mentre era su un taxi. Un taxi che, per trasportarci per 30 km, costa (più o meno) un euro. Perché in Venezuela (e questo non lo dice nessuno), fare il pieno ad un auto di grossa cilindrata, ti costa qualche millesimo di euro. Insomma, in quale paese si paga così poco per il trasporto? Quale paese ti regala benzina, gas ed energia elettrica? Vero, gli stipendi medi non arrivano a 40 euro (ad oggi). Ma le bollette che si pagano per un mese di fornitura di gas, luce e telefono, non arrivano a 3 euro mensili. E allora di cosa stiamo parlando? Se in Italia si guadagnano.500 euro al mese e se ne spendono 80 ogni volta che si riempie il serbatoio dell’auto, dove sta tutta questa differenza? Se la mia utenza di gas mi costa (e non parlo dei mesi invernali) 100 euro al mese ed in Venezuela 60 centesimi, dove sta tutta questa disperazione? Quale paese al mondo paga 15 centesimi per riempire il serbatoio di una Jeep turbo diesel?
Chiudiamo la pagina web di “Dolar Today” che influenza l’economia di altri paesi e, in quindici giorni, si blocca l’iperinflazione. Vogliamo scommettere?
In Venezuela si fanno le code. Certo, se vuoi un certo tipo di prodotto e questo prodotto è scarso, fai la coda. Esattamente come qua si fa per l’iphone X. Perché tutti vogliono harina pan, anche se non c’è, e si tuffano a comprarla in grossi quantitativi per avere le scorte. Si noleggiano più documenti di identità in Venezuela che sulle navi di profughi. Gente che arriva alla cassa con 8 o 10 carnet diversi, per fare scorte alimentari a prezzi politici. Perché quello che non si dice è che le code si formano dove si vende a prezzo popolare. Ossia, per un pacchetto di farina, un barattolo di Mavesa (la margarina Venezuelana a cui nessun venezuelano rinuncia, manco per il cazzo), fagioli ed alimenti vari, si paga qualcosa come 50 centesimi di euro. Ho conosciuto gente che viene pagata 3 dollari per fare le code, molto più di quello che sarebbe pagato per un lavoro a tariffa oraria. I bachaqueros fanno questo: dalla mattina, alla sera. Fanno le code, come lavoro, e rende bene, soprattutto nel momento di rivendere ai colombiani che, addirittura, nelle zone di confine, comprano i soldi venezuelani (i biglietti, per intendersi) perché la carta filigranata vale di più del valore della moneta e viene riciclata e rivenduta allo stesso stato colombiano per battere nuova moneta a costi irrisori. Questa è la triste verità.
In Venezuela, per i motivi sopra specificati, è stato stabilito un ordine di acquisto nei supermercati con i prezzi popolari. Ma in altri mercati si compra tutto, regolarmente, a prezzi non politici. Chi ha soldi, non ha carenza di niente. Chi ha un conto corrente in euro o in dollari all’estero, gode soltanto della spirale prezzi-salari, perché si arricchisce ogni qual volta il Bolivar si svaluta. Tanto che i locali sono pieni di gente, i ristoranti lussuosi sono sempre “full” e si deve prenotare, i locali “in” hanno sempre ogni tipo di prodotto. Ho mangiato, qualche tempo fa, al ristorante italiano “Guido”, vicino al Boulevard di Sabana Grande. In tre abbiamo speso meno di 5 euro, sfogandoci con ogni tipo di piatto. E mi chiedo: perché a Guido non manca il pane, non manca lo zucchero, non manca la harina pan, non manca niente, manco la coca cola? Guido forse guida il suo ristorante con un potente, misterioso macchinario che stampa i prodotti in 3D?
In Venezuela la gente manifesta contro il governo. Allora, su questo vorrei porre un ulteriore riflessione. Mettiamo che in Italia si debba manifestare a Roma contro il governo, ok? Molte persone, per arrivare a Roma, dovrebbero comprare il biglietto per il treno o per il pullman, al limite usare bla bla car, mangiare a Roma e passare una giornata fra un caffè e l’altro o a cercare bottigliette di acqua. Una spesa media, stando bassi, di 50 euro. Ecco, in molti non possono permetterselo perché magari, a casa, hanno due o tre figli e con 50 euro ci mangiano per una settimana. Mi chiedo: come è possibile che in Venezuela dove, appunto, stando alle dichiarazioni della gente, si perde peso e non si mangia, la gente possa passare mesi nelle piazze, senza lavorare, manifestando tutto il giorno se, a casa, ha i figli che muoiono di fame? Quale genitore incosciente si farebbe licenziare dal lavoro per le continue assenze dovute all’orgoglio da manifestante, se non ha i soldi per mangiare? Quale studente andrebbe a farsi massacrare con le Nike e con ordigni artigianali (e non solo) in mano che costano più di 8 mesi di stipendio medio? Insomma, o il Venezuela è il paese con il più alto tasso di schizofrenici e di malati di sindrome bipolare, oppure qualcuno, a questi tizi, li paga. E li paga più di quello che guadagnerebbero a spiattellare il loro culo su una sedia d’ufficio tutto il giorno. Perché la matematica non è un opinione, ma una scienza abbastanza attendibile. Se io dovessi dar da mangiare ai miei figli, mandarli a scuola, vestirli e curarli (o comprargli un telefonino al mese perché, puntualmente, glielo rubano – e questo sì, ahimé, è un triste primato in quel di Caracas), non potrei permettermi di scorribandare da una piazza all’altra distruggendo vetrine, macchine della polizia, bloccando le arterie principali della circolazione veicolare della città, mandando in tilt il traffico per giorni interi. Qua, tizi come questi, verrebbero considerati teppisti (nella migliore delle ipotesi) o black block, secondo il protocollo della polizia che li menerebbe e che già qualcuno lo ha pure fatto fuori con proiettili veri. La polizia venezuelana, nella maggior parte dei casi, non reagisce e porta anche troppa pazienza, beccandosi il lancio di bombe carta, di molotov e di altri ordigni che i manifestanti manco sanno usare bene.
In Venezuela, se vai al bancomat, molto spesso non ci sono contanti caricati. E altrettanto spesso, più di qualche migliaio di bolivares non li puoi ritirare. Mi adeguo a fare tutte le critiche e a tirare tutte le bestemmie che ritengo appropriate, per questa scelta: anche io mi trovo spesso in difficoltà, dovendo usare una carta prepagata che, puntualmente, mi viene prestata per poter sopravvivere ad un prezzo decente (l’alternativa è cambiare gli euro al cambio ufficiale e sarebbe impossibile, per un turista, anche prendere un solo caffè al giorno in un bar, proprio per l’enorme differenza del cambio ufficiale a quello nero stabilito dalla medesima e ossessionante pagina di Dolar Today). Ma capisco che emettere più moneta significherebbe creare più inflazione, quindi butto giù il boccone amaro e vado a comprare sigarette e dolcetti, a fare la spesa, a comprare un antidolorifico, con la carta. Se prendo un taxi gli faccio un bonifico all’istante dalla mia stessa ricaricabile al suo conto corrente (e parliamo di cifre inferiori all’euro, perdio), e se mi assaltano, in tasca, mi trovano giusto 30 o 40 bolivares che valgono qualcosa come 0,005 centesimi di euro e con i quali posso solo farci benzina.
Tanti Venezuelani sono emigrati, negli ultimi tempi, gridando “Allarme, Allarme, alla dittatura”. E gli stessi che hanno fatto questo, oggi, chiedono al loro presidente Maduro di mettere a disposizione i voli di Stato per poter rientrare nel loro paese perché, dopo l’esperienza non proprio benevola nel resto dell’America Latina, ammettono che – in fondo- a casa loro, tanto male non stavano. Mi chiedo io: quale DITTATORE CATTIVO E CRUDELE manderebbe i voli di Stato a riprendere i cittadini emigranti? Quale perseguitato politico chiederebbe al suo aguzzino di riportarlo in patria? Meditate gente, meditate, prima di parlare…
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La dittatura è dittatura. E Nicolás Maduro, per quanto inesperto, per quanto alle prese con qualcosa che è più grande di lui, per quanto pressapochista, per quanto impreparato su certi dettagli, può essere tutto, anche un esaurito. Ma mai un dittatore.
Queste sono solo alcune verità ma la verità più grande è che, purtroppo, il paese in questione è sorto su una delle più grandi riserve petrolifere e minerarie del mondo e per questo va affossato. Da fuori, non da un governo o da un altro. Da fuori. Per continuare una politica coloniale, in altre forme.
E qua mi fermo, perché rischierei di apparire logorroica e di annoiare troppo. Anche se, questa discussione, potrebbe andare avanti per qualche mese.
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Davide Amerio
On-line dal 25-02-2019 questa pagina
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