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valsusa report
di Valsusa Report.
Il disastro del Vajont fu l’evento occorso la sera del 9 ottobre 1963 nel neo-bacino idroelettrico artificiale del Vajont, a causa della caduta di una colossale frana dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del sottostante e omonimo bacino lacustre alpino. La conseguente tracimazione dell’acqua contenuta nell’invaso, con effetto di dilavamento delle sponde del lago, e il superamento della diga, provocarono l’inondazione e la distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, e la morte di 1.917 persone.
Il disastro causato dalla frana coinvolse anche Erto e Casso, cittadine geograficamente opposte a Longarone, vicino alla nuova riva del lago artificiale del Vajont dopo la costruzione della diga. In particolare il paese di Erto fu colpito dall’onda, che si creò successivamente al crollo di una parte del Monte Toc, opposta a quella che precipitò nella stretta vallata e investì Longarone.
La tragedia, dopo numerosi dibattimenti, processi e opere di letteratura, può ricondursi alla negligenza dei progettisti e alla SADE, ente gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono e coprirono la non idoneità dei versanti del bacino; essi infatti avevano caratteristiche morfologiche tali da non renderle adatte a un serbatoio idroelettrico, a causa della incoerenza e alla fragilità dei versanti del Monte Toc. Nel corso degli anni l’ente gestore e i loro dirigenti, pur a conoscenza della pericolosità, coprirono con dolosità i dati a loro conoscenza, con beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei Lavori Pubblici. [Fonte Wikipedia]
A distanza di anni non si è voluto imparare nulla, nulla sulla solidarietà, sulla capacità di rispetto, sulla capacità di squadra e così in tutta Italia si verificano progetti faraonici chiamati come Grandi Opere e proposti dai soliti noti affaristi della speculazione. In tutto questo i governi italiani stanno a guardare, a volte fanno il tifo e altre volte vengono presi con le mani nella marmellata. Lo abbiamo appena letto “La tragedia può ricondursi alla negligenza dei progettisti i quali occultarono e coprirono la non idoneità dei versanti del bacino …. coprirono con dolosità i dati a loro conoscenza, con beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei Lavori Pubblici” fatti lontani 52 anni, ma oggi attuali basti pensare agli ultimi avvenimenti sui crolli della Salerno-Reggio Calabria, un viadotto crollato e un tratto franato, anche lì l’indagine sta prendendo lentamente la via della negligenza e delle connivenze. Il ponte sullo stretto viene riproposto con un can can mediatico tipico di una televendita e ne sanno qualcosa anche gli abitanti della Valsusa, che contro la stessa televendita, si fronteggiano ad un’opera inutile. Un’opera che scava appunto in un’altra montagna, dall’apparenza solida ma che ha all’interno materiali pericolosi. Nel video del grande Marco Paolini – per chi vuole vederlo a questo link – i vecchi del paese già lo dicevano che di quella montagna detta Toc non ci si poteva fidare, ma i tecnici tutti unanime d’accordo, e quindi al via i cantieri. In Valsusa i vecchi dicono che c’è l’uranio e l’amianto, sicuramente devastanti nel tempo, che non irromperebbero in soli 4 minuti nelle nostre case, a differenza, sarebbe più lento e si tratterebbe di malattie inesorabili.
Davanti alla totale indifferenza dei proponenti e di chi casca nello specchietto per le allodole dei facili guadagni, non c’è scampo, gli unici che fanno gruppo e si siedono a cercarne soluzioni sono proprio gli abitanti del posto toccati dalla sciagura. Perdere un nonno, ai nipotini resta come ricordo indelebile. I modi sono molti tutti praticabili, uno di questi è appunto la memoria, la volontà del ricordo generazionale, un utilizzo degli spazi e dei luoghi tale da poter incidere sulla coscienza paesana e dilagare nei pensieri dei visitatori. Nelle Dolomiti la strepitosa via ferrata del Vajont, la Ferrata della Memoria, nata da un geniale idea di Fabio Bristot “Rufus” delegato del Soccorso alpino delle Dolomiti Bellunesi che ha voluto ricordare anche attraverso lo sport la tragedia del Vajont.
“Dal 2 ottobre 2015, la diga del Vajont si può quindi osservare da un’altra prospettiva, quella sportiva, utile a far riflettere sugli errori del passato e guardare al futuro rivalutando una zona, al confine tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia” si legge sul sito planetmountain e noi in valsusa la leggiamo come un più facile metodo divulgativo e di opposizione, una volontà. I paesi colpiti allora, sono un esempio oggi attuale, forse la capacità di un’attività di promozione ancor prima dei disastri annunciati potrebbe fermare le opere inutili.
(V.R 10.10.15)
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