Vivere a Torino è come vivere nel futuro dell’Italia. Si dice che questa città abbia sempre anticipato le tendenze sociali del paese e non potrebbe essere più vero. Il Pd di Renzi, schierato caricaturalmente a favore dei ricchi più ricchi, quelli che manco pagano le tasse in Italia, a cui si riconosce di poter fare tutto ciò che vogliono in nome di un diritto naturale e universale, non poteva che nascere qui, al Lingotto: un luogo trasformato da fabbrica a centro commerciale deserto. Andate a fare un giro al Lingotto, è molto istruttivo. Abbiamo inventato la sinistra che diventa destra e poi estrema destra ma, incredibilmente, continua a dichiarasi di sinistra al di là di ogni decenza. Abbiamo ideato e costruito lo Stato Sociale cittadino sulle mutevoli donazioni di una fondazione bancaria e non più sul diritto. Fondazione a cui tutti noi ci inchiniamo affinché finanzi qualcosa, qualsiasi cosa. La Compagnia di San Paolo, ovviamente. Nel mentre la stessa fondazione l’abbiamo usata come un bancomat politico per finanziare i vari egocentrismi e le vaie carriere politiche di quel politico o quell’altro. A Siena, dove il modello è lo stesso torinese ma più spinto, così facendo sono riusciti a far fallire il Monte dei Paschi e la fondazione è scesa al 2,5%. La Compagnia oggi, seppur molto più solida di quella di Siena, non ha mai avuto una quota azionaria così risicata in Intesa SanPaolo.
Abbiamo mutato una casa popolare dove visse Antonio Gramsci, e a lui intestata, in hotel a 4 stelle per ricchi sfondati con il plauso dell’Istituto Gramsci. Abbiamo dilapidato in ruberie e sciatteria montagne di soldi pubblici dal 1999 in avanti, costruendo nel frattempo il più ampio debito pubblico cittadino italiano che, a costo di sacrifici immani, abbiamo riportato recentemente sotto la soglia dei 3 miliardi. Ma se si tenesse conto dei debiti di tutte le società partecipate del Comune di Torino saremmo a 4 miliardi minimo. Abbiamo messo in vendita tutto, accorgendoci poi che quando questo accade il valore di ciò che butti sul mercato per disperazione è nullo, zero. Tutto il patrimonio pubblico torinese oggi vale zero.
Abbiamo chiuso una fabbrica per venti anni, il tempo necessario per riportare il diritto del lavoro al 1880, e ora la riapriremo.
Tutto questo è accaduto come sta accadendo in tutta Italia. Solo che qui è accaduto prima.
E mentre la restante parte dello stivale si approccia con tutto ciò, noi siamo già un passo avanti, nel futuro che sarà.
Ci hanno raccontato che volevano trasformare Torino in una città turistica e culturale. Volevano invece semplicemente portare Torino da città operaia novecentesca a ottocentesca. Ci sono riusciti.
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