Stop alle App: il Web 3.0 tra servizio e trasparenza.

A distanza di cinque anni – quel 2010 che sembrava essere l’alba di un’era tecnologica sempre più cucita sui desideri degli utenti del Web - il mercato delle App (le applicazioni che si scaricano per avere informazioni, promozioni e servizi) si è di fatto bloccato.

I possessori di smartphone e tablet, stufi di scaricare dall’Applestore o da GooglePlay o dall’Ovistore decine di icone e relativi software che richiedono continui aggiornamenti di cui nessuno realmente sente la necessità, stanno riducendo notevolmente all’interno dei loro device le applicazioni tanto che, oltre alle più usate (WhatsApp, YouTube, Facebook, Twitter e Instagram) se ne possono aggiungere, a seconda delle esigenze dell’utente, un paio di giochi (Candy Crush, William Hill, Sisal…), un paio di news (Huffington Post,  Rai News, Il Meteo…) e un paio di service (Wikipedia, Ebay, Enel, traffico…). Questo accade perché le applicazioni in questi anni non sono riuscite a costruire, eccetto i casi citati sopra, un rapporto a medio-lungo termine con i loro utenti, data la loro natura spesso meramente commerciale e realmente poco promozionale.

In questo senso, è interessante fare una distinzione tra le applicazioni B2C – quelle che scarica e usa il consumatore finale -  e le applicazioni B2B – quelle che utilizza l’erogatore di un determinato servizio. Le App B2B rappresentano, diversamente da quelle B2C, una parte importante del mercato dei software di servizio che, oltre a essere parte integrante del sistema dell’IoT (Internet of Things), permettono di gestire la relazione con i propri clienti monitorando, insieme a loro, lo storico dei loro acquisti, le promozioni in corso, le agevolazioni di cui hanno diritto e gli eventi che sono collegati alle forme congiunte di svago e consumo che prediligono.

Un esempio ulteriore di come le App B2C non abbiano un futuro particolarmente prospero è fornito dal mancato sviluppo del mercato degli e-book (di fatto un App di testo, sia esso letterario, divulgativo, scientifico…) in Europa (da sempre scenario diverso da quello nord-americano) dove resistono, malgrado un aumento ingiustificato dei prezzi di copertina, i libri stampati, emblema di una società che, mentre si connette sempre di più in rete, mantiene parallelamente delle forme fisiche di possesso, intimo e relazionale, non tracciabile e tantomeno sponsorizzabile, solo eventualmente condivisibile sui social network con una citazione tratta da un capitolo o con la foto della copertina del libro.

La fine delle App B2C e lo sviluppo di un ecosistema IoT descrivono, quindi, bene il passaggio in atto tra il Web 2.0 , quello dove l’utente è il prodotto malgrado gli si dica che sia il protagonista, e il Web 3.0 dove l’utente è, invece, un prosumer, un produttore-consumatore che apporta in rete contenuti nella misura in cui partecipa e, in qualche caso, consuma.

Un passaggio ancora da completare, spesso osteggiato dalle applicazioni B2C più scaricate (Facebook su tutti) desiderose di mantenere una posizione oligopolista in un mercato – quello dell’accesso non più solo a Internet ma ai “contenuti che ci descrivono su Internet” - per nulla democratico, ma che va presidiato e ampliato da chi crede che il Web sia uno spazio libero, in cui tutti possano esprimere contenuti, anche commerciali, che divengono patrimonio per community sempre più opensource.