Autore
Simone Cutri
Negli USA: giochi bene a basket? Ok, ti faccio andare bene a scuola.
In Italia: non vai bene a scuola? Ok, non ti faccio più andare a calcio.
Come se quelle due ore dell’allenamento fossero le responsabili del non-studio dei ragazzi, ai quali allora bisognerebbe togliere loro anche i siti porno , internet in generale, smartphone, videogiochi, amici, ragazzine, facoltà di pensiero, neuroni ribelli, respiro. Spogliato da intenzioni cabarettistiche, questo confronto per nulla surreale la dice lunghissima sui due differenti modi d’intendere la vita dei due Paesi divisi da un oceano e qualche metro. Ed esagero. Noi sempre a tirare indietro, a punire, a tarpare, a dover rinunciare, a dover cedere (forse tutto sommato sempre figli del cristianesimo peggiore e frainteso, del senso di colpa indotto, del sacrificio che non ha mai ricompensa se non forse metafisica, un giorno, nell’alto dei Cieli); loro sempre a cavar sangue dalle rape, valorizzare il poco o nulla, ri-girare frittate forse inconsistenti ma che poi verranno spacciate per chissà-che-cosa e vendute a milioni di dollari, trasformare un difetto in pregio, una mancanza in una presenza. E magari poi, non guasta, si sente qualche campione di quegli sport che a noi sembrano sciocchi e noiosi che s’esprime bene in un’intervista, diventa imprenditore o senatore o presidente, grazie ai due rudimenti d’alfabeto e d’istruzione che ha.
Si badi che la loro cultura sportiva è amore per il gioco, semmai, e non per la forma fisica e la salute: altrimenti toglierebbero dal commercio quelle bistecche fluorescenti e quelle salse dolciastre e quella carbonella di kryptonite che dopo un barbecue ti devono asportare milza pancreas e fegato ma ormai è troppo tardi e le metastasi si sono espanse in tutto il corpo. Anche se poi esistono, pure tra loro, molti fanatici e neo-salutisti. Si consideri che la loro attenzione per lo sport è così alta perché hanno capito che è, più di tanti altri settori, una fonte economica pressoché inesauribile. Loro sono capitalisti per davvero, all’estremo: eccessi, sprechi, birre medie da 43 litri ciascuna, livello dell’aria condizionata da vertigini anche se è metà settembre e si sta benissimo, fa caldo ma c’è l’arietta ed è il clima Autumn in New York che tutto il mondo invidia . Quindi USA sempre primi nel medagliere olimpionico e via così. Noi italiani (capitalisti a metà, con remore morali, attitudini classiche, un occhio all’ambiente) non ci piace lo sport. Ci piace il calcio perché non è uno sport, è una religione, è governato da dinamiche tra Dei, sotterfugi, denaro, episodi, scambi di favore, errori, falsificazione di bilanci, circostanze, scommesse, sviste, riciclaggio di denaro dalla dubbia provenienza. Pensate che noia uno sport in cui vince sempre chi se lo merita.
Negli USA, Paese tutt’altro che privo di difetti ma paradigmatico per il mio discorso, a parte quei milioni di super ciccioni che male deambulano per le street e le avenue con quelle vene che di diametro ci passerebbe un cane che fa agility se non fossero intasate dal burro di arachidi, lo sport è una cosa bella e seria. Il parco dove andavo ad illudermi di restare in forma, quando ivi soggiornavo, ha circa 10 campi da tennis, gratuiti; piscina più che olimpionica all’aperto, gratuita; spogliatoi maschili e femminili con docce, gratuiti; pista d’atletica, gratuita; campo interno alla pista d’atletica con pedane per lanci e pista con sabbia finale per il salto in lungo e vari altri spazi, gratuito; potentissima illuminazione artificiale dalle 18 alle 22, gratuita; pista per rollers bikers skaters vattelapeskers, gratuita. Tutto condito da una pulizia impeccabile, addetti al parco che circolano quasi in continuazione, camioncino dei gelati (la musichetta che lo annuncia mette il terrore), a volte la polizia. Anche perché se i fratelli ispanici si mettono a discutere per un fallo in una di quelle partitacce che fanno a soccer poi alla fine si sparano.
Spesso ci saranno almeno mille o più persone, alcuni atleti veri, altri soggetti fuori dal comune. E, a parte i corsi di qualsiasi sport improvvisati da istruttori capaci e svegli imprenditori di se stessi, si possono incrociare dei maggiormente-abili che s’allenano sulla loro sedia a rotelle, vecchie orientali che fanno Tai-Chi o il Kata o Yoga, vecchi giapponesi che stanno in verticale minuti e minuti appoggiandosi solo sulla testa e poi camminano scalzi e a torso nudo sul tartan della pista. E tanti altri che non si vergognano di cimentarsi in una disciplina alternativa, magari strana, inconsueta, per la quale non sono nemmeno portati. Quei goffi che noi considereremmo gli scemi del villaggio, solo perché provano ad impegnarsi e divertirsi. E poi si sa: chi non gioca a calcio è gay.
Però poi, persino a me, a-polide a-patico a-scemo, qualcosa di bello e indefinibile si muove nello stomaco, quando c’è l’inno d’Italia, sulle immagini di una qualsiasi medaglia olimpica d’uno sport cosiddetto minore e che richiede anni di sacrificio. Insomma: quando capiremo che sarebbe ora d’insegnare davvero lo sport nelle scuole, sin da bambini, costruire palestre e campi pubblici, fare un piano lungimirante? Senza eroismi, va bene, facciamolo almeno per evidenti ragioni economiche. Come potrebbe mai un bambino dire “mamma, voglio fare lancio del martello!” se nemmeno sa che esiste, se nemmeno c’è il luogo per potersi esercitare. Più possibilità si danno e più talenti nascosti potranno scoprire la loro strada.
Quando noi facevamo educazione fisica al liceo (quelle due orette puzzolenti vissute con fastidio da taluni insegnanti), tutte le ragazze avevano il ciclo e stavano in disparte, a riposo. Io tutt’oggi non capisco come potessero non morire dissanguate ad avere le mestruazioni una volta a settimana. Noi maschi giocavamo a calcetto, tanto per cambiare. Sulle condizioni di palestre e palazzetti mi sia concesso sorvolare.
Sono convinto che noi italiani potremmo fare ancora meglio, alla faccia di doping e muscoli pompati, negli sport in cui siano necessari spunto, intelligenza, scaltrezza, arguzia, estetica, arte e poesia. E così un bel giorno mi ritrovai a commuovermi per le ragazze della ginnastica ritmica alle olimpiadi di chissà quale anno, chissà quale città. M’incantarono: ed era ‘solo’ l’argento. Strabiliarono me, che sono cresciuto a pan di stelle e calcio: quel calcio ancora antico che si giocava subito in undici e che a capitare sulla fascia sbagliata non si toccava palla per mesi.
Simone Cutri
On-line dal 06-10-2014 questa pagina
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