Basta leggere le sue opere più note - non dimenticando magari le poesie - e vedere i suoi film. Ma per capire cosa egli abbia rappresentato per la cultura italiana bisogna fare uno studio e una riflessione che implica un desiderio: quello di credere che il ruolo anticonformista di un uomo d’intelletto sia un modo di essere e non di apparire.
Il film di Abel Ferrara “Pasolini” pare un esperimento destinato a fallire sin dal suo primo alito, il titolo, che, come direbbe Gadda, è talmente vagotonico che potrebbe essere il preludio di mille cose e di nessuna, meno che mai di una sistema di pensiero critico, politico e artistico sterminato.
Detto ciò il film di Ferrara ha tre momenti narrativi che si intersecano tra loro in modo molto confuso.
Il primo quello più riuscito racconta il rapporto dello scrittore - messo in scena da un efficace William Dafoe con un piccolo ma prezioso aiuto di Adriana Asti - con il suo nucleo domestico, protettivo ma algido, ricostruito in modo molto accurato.
Il secondo quello più scadente rilegge, invece, le opere di Pasolini attraverso un malriuscito saltellare tra i romanzi “Teorema” e “Petrolio” e un’ensemble pasticciata di alcuni film (“Il fiore delle mille e una notte”, “Salò e le 120 giornate di Sodoma”) con un tentativo a dir poco convincente di mischiarli, rigirandoli con Ninetto Davoli nel ruolo che pare essere stato quello di Totò in “Uccellacci e uccellini” e con Ricccardo Scamarcio in quelli di Ninetto: entrambi bravi malgrado un copione orribile (con la scena dell’orgia che, ammiccando a Fellini, rasenta il ridicolo).
Il terzo, infine, ripropone la morte dello scrittore all’Idroscalo di Ostia (nella foto il monumento a Pasolini) copiando bellamente la ricostruzione proposta dal film “Pasolini un delitto italiano” di Marco Tullio Giordana del 1995 che, contrariamente a questo, seppe dare una versione accurata della vita intima di Pasolini e della sua morte.
In conclusione, Abel Ferrara, aiutato molto poco da un’équipe autoriale mediocre, ha subito sicuramente una seduzione dal contesto intellettuale pasoliniano che però l’ha abbandonato subito, lasciandolo solo, invischiato da una parte nella rete familiare e amicale dello scrittore e, dall’altra, nelle sue abitudini sessuali: aspetti questi di un costume dello scrittore - intimo e immorale - che, per chi lo studi in modo approfondito, è evidente da subito parte del fondale e non centro della scena.
Forse Ferrara avrebbe dovuto porsi una domanda: si può fare un film su Pasolini?
Bastava chiederlo al diretto interessato.
Autore
Mario Guglielminetti / info@cultrack.net - @mariogug
Aggrega contenuto