Referendum del 17 Aprile: ci vorrebbe una macchina del tempo. Ma una davvero grande. Poi ci dovresti far salire, prendendoli per le orecchie, tutti quegli Italiani che si sono concessi il lusso di non andare a votare. Un viaggio, per esempio, attraverso gli anni ’40-’45. Sotto le bombe, a guardare le corse nei rifugi per salvare la pelle; quando alla gente scendevano brividi lungo la schiena sentendo il suono delle sirene che annunciavano l’imminente bombardamento aereo. Poi si tenevano stretti l’uno accanto all’altro sotto terra, o in qualche cantina se non avevano fatto in tempo a raggiungere il rifugio. Il terrore negli occhi; la fame nella pancia, il freddo tra i vestiti.
Poi la Resistenza, i Partigiani, su e giù per i monti e le valli. Le donne staffette che rischiavano la pelle per portare cibo e informazioni. Le fucilazioni sommarie dei Tedeschi per rappresaglia. Le violenze e gli omicidi politici dei Fascisti. Venti anni di dittatura. Girovagando con la macchina del tempo potresti incontrare le Nilde Iotti, le Ada Gobetti, le Bianca Guidetti Serra, i Sandro Pertini e i Giorgio Bocca.
Poi si potrebbero salutare le donne che finalmente, dopo anni di lotte, poterono recarsi ai seggi per votare, per esprimere liberamente le proprie scelte politiche. Guardare i volti degli Italiani che salutano festosi le truppe di liberazione; quelli che tornano a vivere liberamente. Incontrare i Padri Costituenti che, non ostante le forti identità politiche differenti, e le loro storie, si ritrovano in un’Assemblea per pensare e scrivere la Costituzione “più bella del mondo”; quei padri che si prefiggevano di impedire che l’orribile esperienza della dittatura non si potesse ripetere, che la libertà fosse a fondamento del vivere in comunità e la democrazia lo strumento per condividere il benessere. Non potevano immaginare un popolo uscito da due guerre mondiali che si affida ai Renzi, alle Boschi e ai Verdini per “Riformare” la Costituzione.
Negli ultimi decenni del ‘900 si potrebbero incontrare i Bobbio, i Galante Garrone, i Firpo, al posto dei lacché che imbrattano oggi le colonne de “La Busiarda”, come chiamavano i vecchi Torinesi il quotidiano “La Stampa”; oppure gli Andrea Barbato, prima che la Rai fosse impunemente occupata dalle Darie Bignardi.
Ma una simile macchina del tempo non l’abbiamo, verrebbe da dire. Ma non è proprio così. Esiste. Si chiama scuola, si chiama libro, si chiama storia. Per la mia generazione si chiama anche famiglia e storie raccontate dai nostri padri e dai nostri nonni. Ricordi, avventure e privazioni. Rischi, lotte cruente e terrore.
Il quorum deve essere abolito. In primo luogo perché offre una doppia opportunità a una delle due parti in competizione: chi avversa il referendum se non ha sufficienti argomentazioni per vincere può giocarsi la carta dell’astensione che, si badi, non significa “non so”, bensì “me ne fotto”. Non è più accettabile subordinare la politica a chi “se ne fotte”. Liberi di farlo, ma se scegli questa strada allora accetti incondizionatamente ciò che decidono gli altri. Lo stesso dicasi per chi si vuole astenere alle votazioni ordinarie. Vuoi astenerti? Sei convinto che nessuno ti rappresenti? che nessuno sia degno della tua fiducia e del tuo voto? Libero di fare questa scelta ma il tuo culo lo porti comunque al seggio e ti fai annullare la scheda mettendo a verbale la tua opinione. Se non lo fai, per validi e comprovati impedimenti, dalla terza volta perdi il diritto di voto. Punto.
Non si può più tollerare che impunemente si sputi in faccia alla storia. Ci sono uomini e donne che hanno sacrificato la vita per concedere alle generazioni future la libertà di decidere democraticamente il proprio status di cittadino. Ciascuno è libero di credere in ciò che vuole, ma non di insultare la memoria e il sangue di cui è intrisa la terra e la strada per la libertà.
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