Autore
Monica Vitali
Nel mio rapporto complicato con il tempo a volte mi soffermo a pensare al momento in cui smetterò di lavorare e andrò (ma ci andrò poi?) in pensione. Allora mi chiedo: quanto denaro mi servirà? O meglio, di quanto denaro non avrò più bisogno avendo più tempo a disposizione?
Per rispondere a questa domanda devo considerare la quantità di denaro che spendo a causa della mancanza di tempo.
Provo a fare un elenco iniziando dalle attività che ho dato in outsourcing, cioè che ho delegato all’esterno:
- donna delle pulizie, - lavanderia, - doposcuola di mio figlio, - tintura dei capelli, - pedicure, - sarta.
E poi tutto il resto:
- benzina per l’auto, anziché andare a piedi o in bicicletta quando possibile.
- acquisti nel primo posto che capita, anziché nei posti dove è più conveniente,
- acquisti nel momento economicamente meno conveniente,
- spreco di oggetti che cestino perché sbaglio l’acquisto e non ho il tempo di andare cambiarli,
- spreco di oggetti che non ho tempo di riparare, e quindi getto,
- oggetti che compro anziché produrli da sola (ad esempio alimenti, creme, ecc..),
- oggetti che compro che dovrebbero aiutarmi a risparmiare tempo (ad esempio una grattugia elettrica)
- prodotti e servizi che compro per tenermi in forma, sostituibilissimi con una bella passeggiata.
Se adottassi comportamenti “virtuosi” avrei un gran risparmio di denaro senza fare grandi sacrifici. Ma visto che mi manca il tempo, che rappresenta la mia risorsa più scarsa e preziosa, sopperisco con l’uso del denaro. Mi dispiace, ma non riesco a fare diversamente, pena la mia salute mentale.
E’ un po’ il problema dei nostri tempi. Si fanno lavoro gratificanti, appaganti anche dal punto di vista economico, ma poi ci manca il tempo per fare tutte le altre cose. Oppure, ancora peggio, si fanno lavori che non ci piacciono, malpagati, ma che ci impegnano comunque tante ore.
In entrambi i casi spesso si finisce nei centri commerciali ad acquistare oggetti inutili in modo compulsivo, perché si cerca una gratificazione che compensi il tempo dedicato alle attività che non ci piacciono. Ma è solo un palliativo.
E intanto si desidera il tempo lento, quello di cui si pensa di godere quando si andrà in pensione (sempre più tardi) se non si avranno nipoti da accudire o scarrozzare, visto che non esistono strutture con orari elastici per accoglierli.
Ma ciò che mi dà più fastidio è che la nostra società non tiene minimamente conto di quanto sia diventato importante il tempo delle persone. Si dà per scontato che tutti ne abbiano da buttare via, altrimenti non si spiega perché ci costringe a fare file interminabili negli uffici, ad andare fisicamente nei luoghi anziché risolvere le questioni via internet, ad andare a riunioni scolastiche in orari di lavoro, a farci assentare dal lavoro per sbrigare incombenze pratiche.
Se poi si ha un problema con una compagnia assicurativa, con una società di servizi telefonici, elettrici o con una banca, mai una volta che la controparte tenga conto del risarcimento del disagio creato, del tempo perso in telefonate, delle visite, delle pratiche agli sportelli, delle arrabbiature, ecc...
Vogliamo poi parlare dei treni in ritardo? No, è meglio che non ne parliamo.
Il problema è che spesso noi stessi siamo i primi a non soffermarci a sufficienza su questo aspetto, a dare per scontato che sia così, a non considerare mai il valore del nostro tempo nel rapporto costi/benefici dei progetti che intraprendiamo.
Io direi: iniziamo a fare pesare il tempo che gli altri ci fanno perdere inutilmente. Ad elencare le cose che non riusciamo a fare a causa delle tante inefficienze del sistema. A monetizzare il tempo perso prendendo come riferimento il costo lordo orario che ci paga la nostra azienda, piuttosto che le tariffe che applicano i professionisti e gli artigiani per un certo tipo di lavoro. E iniziamo a presentare il conto in euro, anche solo a voce, a chi fa finta di non capire.
Chissà che piano piano non passi il concetto che IL MIO TEMPO HA UN VALORE, e chiunque me lo deve riconoscere.
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Monica Vitali
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