Una mattina, molto presto, mi arriva un lungo messaggio sul telefono, uno di quelli da far male alle dita di chi scrive, sintomo di un’esigenza incontenibile di comunicare qualcosa di forte, in questo caso, di Bello.
Un mio carissimo amico, uno dei tre al mondo col quale possa parlare di Letteratura da innamorato vero, mi scrive appunto una lunga impressione su “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, ribattendo al mio tuttavia preferire “Un amore”, sempre del medesimo grande autore.
Ed ecco infine, dopo qualche piacevole scambio di battute, la sua provocazione e la mia riflessione: è un bene che la maggioranza delle persone (altri direbbero la gente) abbia smesso di leggere i classici. Non solo perché hanno esclusivamente sete di trama ed azione (delle quali, a ben vedere, i grandi libri sono sostanzialmente privi) e l’unica domanda è “di cosa parla?” e non la più giusta “come ne parla?”; ma anche perché, qualora avessero gli strumenti per comprenderne qualche passaggio, verrebbero massacrati da condizioni esistenziali che non sanno, o non si vogliono, assolutamente più affrontare: la sconfitta, la solitudine, l’attesa per qualcosa che non avverrà, l’amore perduto per sempre, l’assenza di rivincita, la Morte, la Bellezza: quella Vera.
Se, con un paradossale corto-circuito, chi non è in grado di capire i classici li capisse, avremmo orde di suicidi, reparti psichiatrici affollati da soffocare, incremento spaventoso nella vendita di anti-depressivi.
Meglio continuino a leggere il Fantasy o si eccitino per le 50 Sfumature: masturbarsi con Youporn potrebbe essere un’esperienza troppo forte.
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