Più ancora delle malinconie, nella mia sterile vita, ho accumulato le giornate buttate. Potrei riconoscerle una ad una, pur tutte simili, ed affezionarmici persino a quell'indistinto ricordo del tempo sprecato. Che poi il tempo lo si sprechi sempre, soprattutto quando si crede d’impiegarlo al meglio, questo è un altro discorso: si pensi alle giornate buttate al lavoro, che eppure portano profitto, produzione, dignità sociale.
Pur con il sole fuori e dotato di umore accettabile e consapevole del rimpianto che a breve peserà sul mio cuore, quando scenderà sera e non avrò concluso nulla, resto immobile nel tentativo di non sprecare questi momenti ancora felici, ancora giovani, ancora pieni di idee, pur sfiduciate. Ma il problema è appunto quel “concludere qualcosa”. Cosa? E perché mai andrebbe concluso? E tutto resta appunto soltanto tentativo.
Così mi accortoccio sull’amata nullafacenza, ormai di facciata e per posa, avendo settantamila impegni e fastidi e incombenze e scadenze, e rimango allibito d’innanzi a questa mia autostima, a questa mia idolatria per la pigrizia, a questo mio sbeffeggiare gli iperattivi. Tante volte ho combattuto per farmi piacere le cose e le persone, ma trovo che siano tutti antipatici, dal Greco e nell’accezione comune; trovo che le iniziative facciano tutte schifo; trovo che le chiacchiere siano noiose e di bassissimo livello, soprattutto quelle fatte tra persone interessanti; trovo che i racconti delle giornate di lavoro, di vacanza o di svago siano la pena peggiore che si possa infliggere a chi ci ascolta; tralascio, per non offendere l’intelligenza dei miei 4 lettori (Manzoni, cit.), il sorbirsi le foto degli altri: pasti, matrimoni, viaggi.
Eppure c’è tutto un mondo là fuori che mi consola. Persone che le giornate non le buttano affatto, e mi sprono a fare meglio. Potrei andare all’Expo a fare coda, potrei iscrivermi ad un corso di balli country, potrei partecipare ai premi letterari o aderire a tutta la moltitudine di attività che il nuovo millennio ha inaugurato. Invece, niente. Resto immobile e perseguo l'unica nobile azione: immaginare ciò che più non è e mai più sarà.
Finito l’afflato, ingoiato il sussulto, spenta ogni baldanza, mi passa davanti agli occhi la vita degli altri: mi consolo e torno a buttar via le giornate.
Simone Cutri è stato il più noto tra gli artisti sconosciuti del Ventunesimo secolo. Ha fondato La Repubblica Estetica.
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