Chi ha letto qualche articolo precedente, sa che spesso faccio riferimenti alla mia unica prolungata esperienza estera per concepire alcune considerazioni, tutt’altro che trascendentali ed innovative, sull’Italia e gli italiani. Non lo faccio per vantarmi a vita del viaggio, altrimenti avrei buttato sui social quattro foto dall’Empire State Building e me stesso nell’atto di addentare un hamburger; lo faccio, un po’ come i nonni nostalgici e schiavi dell’unica reduce memoria a lungo termine che raccontano sempre le stesse due cose di guerra, perché sono gli unici tre mesi della mia vita pseudo-adulta e sprecata in cui io mi sia sentito vivo. Dunque, attraverso quell’esperienza, cerco di vedere le cose con maggiore lucidità: tutto qui.
Bene. Mi capitò di andare fuori città a trovare alcuni lontani parenti italo-americani. Ora: lungi da me fare l’apologia del passato, soprattutto prossimo, ed edulcorare presunti valori che sono andati perdendosi con le miserie del tempo presente. Epperò, la cosa che più mi fece piacere, fu il ritrovare delle persone per bene, un’Italia anni ’50 (per quanto non li abbia vissuti ma solo immaginati), una cortesia ed una cordialità senza limiti. Ed anche qui mi e vi risparmio la retorica sull’ospitalità, pur vera, dei meridionali vecchia maniera. E di certo ero persona gradita e non ci sarebbero stati motivi per essermi ostili. Tuttavia, da molto tempo, pur essendo circondato da persone meravigliose, non respiravo questa disponibilità nei confronti dell’Altro.
Ecco dunque, aldilà delle questioni certamente serie della crisi economica e per le quali non ho alcuna voce in capitolo, che cosa più di tutto mi dispiaceva dell’Italia: la perdita di umanità. È ovvio che io stia generalizzando ed esagerando, ma generalizzare è l’unico modo per formulare un pensiero, una teoria, una provocazione; altrimenti, ci vorrebbe un singolo articolo per ogni singolo individuo.
In queste ultime settimane, assisto al degenerare di una cattiveria ed una rabbia alle quali non ho mai assistito: quella perpetrata nei confronti degli immigrati. È il vecchio e prevedibile giochino del Potere: alimentare la guerra tra poveri. Del resto, in Italia, la facile propaganda razzista è uno dei metodi più efficaci per raccattare consensi. Inutile snocciolare i numeri reali sui benefici che l’immigrazione rappresenta per lo Stato italiano; inutile cercare di azzerare i luoghi comuni sullo stile del'l “aiutano prima loro di noi” e “bisognerebbe aiutarli nel loro paese” e “noi quando andiamo là rispettiamo le loro regole”; inutile, punzecchiando, far capire che se un laureato italiano a pieni voti teme che un poveraccio sbarcato su un gommone in fuga dalla guerra gli possa rubare il lavoro, le strade sono due: o è un lavoro che il laureato non accetterebbe di fare, o non ha poi così tanta fiducia nei propri mezzi; inutile dire che all’estero, noi italiani, ne abbiamo fatte di cotte e di crude e poi anche di bellissime: esultiamo se eleggono un italiano come sindaco di New York, ma non crediamo che un giorno un immigrato possa diventarlo di Milano. Infine, è inutile provare a spiegare che non vengono qui per darci fastidio, ma per scappare da una situazione molto peggiore della nostra e per provare a dare un futuro migliore a se stessi ed ai loro cari.
Certo ci sono moltissimi delinquenti: esattamente come in ogni categoria, razza, credenza religiosa, etnia di esseri umani.
Ho scritto fino a qui cose banalissime e sbrigative. Il problema è molto più complesso e non voglio certo stare dalla parte dei comunisti-visti-mare buonisti col culo degli altri. Persone più preparate di me, ed elette per preoccuparsene, sapranno di certo lavorare ad una soluzione. Quindi, senza pretese, ho solo il piacere di ricordare una cosa e di concludere con una supplica.
Amici miei: ricordatevi che a nuocervi non sarà mai uno più debole di voi, semmai uno più potente. E vi supplico: ci siamo impoveriti, siamo diventati ignoranti ed analfabeti di ritorno, maleducati e spocchiosi, superficiali e scoraggiati: almeno, non diventiamo cattivi e razzisti.
Simone Cutri è stato il più noto tra gli artisti sconosciuti del Ventunesimo secolo. Ha fondato La Repubblica Estetica.
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