Autore
Alice Arduino - Talco Web
Che cos’è la mobile photography? È la fotografia creata e realizzata grazie ad un telefono cellulare, smartphone o iphone che con l’avvento del digitale e della tecnologia è andato a sostituire gli apparecchi fotografici classici, permettendo un avvicinamento globale all’ottava arte e cambiando le regole e gli scenari del mercato.
La mobile photography è usata per condividere, raccontare, testimoniare, manifestare sé stessi, alimentare un flusso ininterrotto di immagini mettendo in comunicazione gli individui nel mondo, creando monologhi collettivi e relazioni sociali. Secondo alcune stime, nel 2014 si sono scattate, da cellulare, circa 880 miliardi di fotografie di cui 350 milioni sono state pubblicate su Facebook e 60 milioni su Instagram. Oggi ogni due minuti vengono fatte più foto di quante l'umanità ne abbia prodotte in tutto il 1800. Il web parla per immagini e la rivoluzione digitale diventa la condivisibilità, il diffondere in maniera ripetitiva verso amici e sconosciuti, cambiando radicalmente anche il modo di realizzare le fotografie stesse.
Il cellulare diventa un componente del nostro corpo, un allungamento del braccio, come una ibridazione cyborg, una estensione a cui delegare cervello, memoria e sguardo creando una compulsiva e istintiva promozione della nostra esperienza quotidiana e dimensione individuale, nella sfera collettiva, definendoci attraverso le immagini che produciamo. Ci concentriamo sul presente, dimentichiamo il passato, condividiamo attimi fugaci che poi scompaiono mentalmente e fisicamente. La fotografia realizzata non registra più l’evento, ma ne diventa parte. Noi esistiamo perché produciamo immagini. La fotocamera diventa parte integrante di noi, un oggetto del desiderio che realizza i nostri desideri concentrando l’attenzione sulla condivisione e trasmissione di dati visivi, crea una interazione con altre persone, una fusione tra sfera pubblica e privata e una gratificazione immediata del bisogno di manifestare il nostro punto di vista.
SELFIE
È un autoritratto scattato a distanza di braccio. Appare per la prima volta su Flickr nel 2004 ma esplode nel 2013 fino alla consacrazione ufficiale della parola “selfie” da parte dell’Oxford Dictionary. Può essere identificato come una icona del narcisismo una esibizione autoreferenziale del XXI secolo soprattutto tra le nuove generazioni tra gli anni 1980 e 2000. Il soggetto diventa un “personal branding” un marchio da promuovere, una auto-osservazione e auto-ritratto finalizzata all’auto-accettazione e auto-narrazione come rivendicazione identitaria. Il selfie è una immagine creata non per ricordare o documentare, ma per comunicare in modo immediato sé stessi cercando negli altri il riconoscimento, l’accettazione e soddisfazione attraverso i “like”. Diventa uno specchio della propria immagine, creata su misura da noi. È un prodotto autonomo in grado di proiettare sé stesso nel mondo, mentre i social diventano la piattaforma commerciabile di promozione.
È cambiato il concetto di fotografia. Dirigere la fotocamera verso di noi, raccontare la nostra storia personale significa attuare un controllo su ciò che si è o si vuole dimostrare agli altri cercando di costruire un’identità migliore di quella che è realmente, da vendere e promuovere come un marchio o prodotto. Difficilmente ci facciamo un selfie se siamo brutti, malvestiti o tristi, (in rari casi il selfie è usato per denunciare eventuali abusi subiti) ma al contrario utilizziamo il telefono per immortalare il nostro lato migliore in un momento di gioia e benessere. È la necessità di acquistare una maggiore fiducia in sé stessi, di mostrarsi al mondo per essere accettati e approvati e in casi estremi di evidenziare le proprie avventure realizzando immagini altamente pericolose chiamati “Selfie della Morte” (selfie realizzati con un’asta allungabile sull’orlo di un burrone o edificio, davanti a un treno in corsa, accanto alle fauci di un animale pericoloso). Con questo non intendo criticare i selfie che ormai fanno parte della quotidianità, ma riflettere su chi compulsivamente fotografa sempre la sua immagine. Questo status evidenzia comportamenti dettati da una società e una cultura narcisista ed egocentrica che punta maggiormente a raccontare sé stessa, anziché osservare il mondo che ci circonda. Manca l’attenzione verso l’altro verso ciò che è differente da noi che, di conseguenza, diventa poco importante.
Indirizzare la fotocamere verso il mondo significa raccontare emozioni, felicità, tristezza, disagio, permette di esplorare nuovi territori, farsi portatori di testimonianze e documenta la realtà attuale permettendo a tutti di osservarla e comprenderla. Reindirizza il punto di vista del singolo come parte integrante di un universo più grande nel quale si inserisce, diventando una componente importante ma non principale. La fotografia nasce per raccontare ciò che vediamo, è un mezzo espressivo che narra nuovi punti di vista e da lì si rivela.
Significato ancora diverso è quando fotografiamo il mondo esterno che rappresenta esclusivamente la nostra quotidianità. Nasce l’era dei Social Network e delle fotografia compulsiva che condivide online la nostra vita personale.
SOCIAL MEDIA
Il creare da soli immagini ha cambiato la visione dell’estetica fotografica. L’utente crea una immagine, la pubblica ed essa viene condivisa da altri. La ripetitività aumenta la visibilità, diventando un tormentone sui social. Non importa se la foto sia tecnicamente bella, può essere sfuocata, brutta, storta, ciò che ha valore è il suo significato. Questo inevitabilmente ha influenzato la fotografia d’autore e cambiato l’immagine esterna. La manifestazione del nostro ego si produce tramite la banalità del quotidiano, il fotografare, piatti, cibi, gatti, oggetti, ciò che ruota attorno alla nostra vita. Fotografiamo compulsivamente, ma raramente riguardiamo le immagini realizzate. Ecco allora che la fotografia nata come memoria del passato e l’interazione che abbiamo con essa come ricordo di eventi, si trasforma in immagine presente, condivisibile, ripetitiva, veloce. In un mondo dove chiunque può registrare qualunque evento in qualsiasi momento con il proprio telefono qual è il ruolo che resta al fotografo professionista? Qual è il significato di un’immagine?
La mobile photography intesa come sistema di produzione e diffusione delle immagini attraverso i network ha cambiato le forme e i contenuti della comunicazione e informazione, così come interi settori dell’industria comunicano con i loro clienti. È la brand photography che evidenzia e delinea i marchi aziendali e i loro prodotti, producendo immagini pensate per la pubblicità. Sono necessari contenuti di qualità visiva che siano coinvolgenti, veicolino un messaggio semplice e diretto e portino un valore aggiunto al prodotto attraverso immagini composite, studiate e pensate, volte a mostrare il lavoro quotidiano nei dettagli, aiutando i clienti a seguire la tua pagina e i contenuti presenti. Fotografie vere, non artificiali, realizzate in contesti veri e quotidiani. Alcune aziende si appoggiano a influencer e utenti su Instagram e Facebook per la divulgazione veloce, sostituendo in parte la figura professionale ed editoriale del fotografo e basandosi sulla sua autorità esperienziale in un determinato settore. In questo modo una fotografia postata su un social non è un oggetto inerte, ma parte di una conversazione pubblica attorno a essa. Se le foto degli influencer non hanno grandi competenze tecniche, ma solo una buona capacità creativa, la figura del fotogiornalista o fotografo professionista acquista un altro significato e ruolo. A lui il compito di realizzare storie, far riflettere sui messaggi, narrare la società contemporanea, creare consapevolezza sulle questioni riguardanti la collettività e il cambiamento nel mondo.
Se viviamo in un era dove la moltitudine di immagini fa da padrona e si basa sulla quantità, piuttosto che la qualità di una foto, diventa fondamentale creare immagini chiare, semplici e comunicative che si distinguano dalla massa mediatica arrivando direttamente agli utenti in modo forte, dinamico e conciso, creando un senso e un linguaggio critico e progettuale in modo approfondito. Bisogna saper raccontare nuovi punti di vista attraverso nuovi linguaggi creativi che si concentrino sul contenuto e significato di ciò che rappresentano. Evocare sensazioni, analogie, emozioni piuttosto che registrare la realtà attraverso la fruizione tra fotografo e soggetto e fotografo e contesto, una fotografia che diventa rappresentazione culturale per parlare a più voci e più occhi del tempo e del mondo in cui viviamo. La fotografia non è più un linguaggio parlato da pochi professionisti ma accessibile a tutti. Una buona foto è quella che veicola un’idea. Per vendere un prodotto devi soprattutto vendere una storia. Il contenuto di ciò che mostri è importante, ma la scelta di una determinata estetica è ciò che permette di trasmettere un messaggio al pubblico. Non è il mezzo, ma l’immagine finale che conta (Benjamin Lowy).
Tutti hanno macchine fotografiche, ma non tutti sono fotografi anche se il mercato della telefonia cellulare vuole farci credere che basti avere una camera con una buona dose di pixel per la riuscita di un’immagine, immedesimando il proprietario nel ruolo di fotografo. Raccontare storie per immagini, costruire filoni narrativi è la prerogativa del professionista che crea contenuti di qualità e li diffonde. Narrare storie vere, reali e verificabili, basate sull’etica, onestà e correttezza sono le nuove sfide.
Grandi fotografi come Benjamin Lowy, di Matt Eich, Stefano De Luigi, Richard Koci Hernandez, Brad Mangin, Anastasia Taylor-Lind, Peter Di Campo, Teru Kuwayama e tanti altri hanno saputo creare un nuovo linguaggio con la mobile photography unendo la tecnologia al servizio della professionalità e utilizzando l’iphone photography come nuovo linguaggio multimediale. I fotoreporter hanno accolto la novità a loro favore, utilizzando il telefono cellulare in zone di guerra o comunque in situazioni difficili, permettendo una maggiore invisibilità per il fotografo, affinché possa influenzare in maniera minore, con la sua stessa presenza, lo scenario e le persone fotografate. Condividere le foto direttamente con un vastissimo pubblico sui social, cancella la figura dell'editor e la selezione compiuta dai giornali e mette a diretto contatto il fotografo con lo spettatore. Spesso le immagini realizzate puntano sui dettagli, particolari, per narrare la cultura del posto attraverso storie parallele. Ne è un esempio la fotografia di Teru Kuwayama che documenta la vita dei giovani marines in missione in Afghanistan o di Brad Mangin, fotografo sportivo americano che realizza immagini alle partite di baseball soffermando il punto di vista sulla non-azione del gioco.
Una breve parentesi va aperta per la piattaforma Instagram la quale ha veicolato un nuovo modo di osservare la fotografia grazie al suo formato quadrato che incornicia e costringe a pensare fotograficamente in una dimensione ben precisa. Solo successivamente gli aggiornamenti dell’App hanno permesso di decidere all’autore il formato verticale o orizzontale. Il formato quadrato ha però aperto nuove visioni mettendo in discussione la fotografia classica a nuovi orizzonti portando ad una maggiore riflessione dell’inquadratura e sull’immagine stessa da realizzare. Da qui le App per modificare le immagini e la nascita di piattaforme Istock per vendere foto online esclusivamente con Iphone hanno aperto un nuovo mercato di business.
La mobile photography dimostra il margine per poter sperimentare e percorrere nuove strade con un nuovo (ormai vecchio) mezzo fotografico. La sfida che differenzia un fotografo professionista da uno amatoriale diventa la capacità di saper raccontare storie attraverso l’apparecchio che si possiede, scattare una fotografia che sia intrisa di contenuti e non diventi un cliché, un’espressione banale e priva di originalità. Nell’era contemporanea dove siamo bombardati di immagini e dove la comunicazione si basa su fotografie e video a ripetizione, creare qualità e innovazione diventa il pezzo mancante, la marcia in più che crea la differenza.
Sia chiaro però: il telefono è sicuramente il futuro e sarà maggiormente utilizzato nel campo fotografico ma non sostituirà mai la qualità di una camera professionale. Almeno non a breve!
APPROFONDIMENTO
“iRevolution. Appunti per una storia della mobile photography” di Irene Alison, Edizioni Postcart, 2015
Alice Arduino Foto Sport & Eventi - www.alicearduino.com
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