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Talco Web | Alice Arduino
Frank Horvat è un fotografo di origine croata, vive attualmente in Francia, parla correttamente quattro lingue e ha creato una applicazione per iPad chiamata Horvatland. La sua carriera fotografica comprende reportage, fotogiornalismo, ritratti di paesaggi e sculture.
La sua storia viene raccontata nelle sale di Palazzo Chiablese dei Musei Reali di Torino (dal 28 febbraio al 20 maggio) con la presenza di 210 immagini curate direttamente dall’autore e una trentina, tratte dalla sua collezione privata, dove raccoglie i lavori di autori del calibro di Henri Cartier Bresson, Robert Doisneau, Helmut Newton, Sebastiao Salgado, Elliott Erwitt, Don McCulling e tanti altri. Horvat dichiara: “Le ho collezionate proprio perché ognuna di esse mostra la capacità della mente umana di lasciarsi sorprendere da qualcosa di inaspettato […]. In una parola, perché ognuna di queste fotografie è un miracolo”.
La mostra si suddivide in 15 chiavi di lettura che raccontano la storia che sta dietro ogni scatto delineando il suo percorso come fotografo e la sua interazione con il mondo che negli anni è cambiato. Temi fondamentali sono la luce che usa plasmando e ispirandosi ai quadri di Caravaggio. Horvat scatta cercando le ombre e solo successivamente, nel riguardare le immagini, esse suscitano in lui emozioni, idee, ricordi e attese che associa a ciò che rivede. Vi è la sospensione del tempo, intesa nella volontà di catturare i soggetti nella loro spontaneità, quando essi non guardano in camera, come l’ occhio voyeuristico del fotografo nell’osservare le persone rappresentate; vi sono immagini sulle metafore della vita e sulla condizione umana in cui egli stesso dichiara: “Non punterei l’obiettivo su un familiare o su un amico che soffre semplicemente perché non mi piace l’idea che la mia arte si nutra del suo dolore. nemmeno biasimo i passanti che fanno cerchio intorno alla vittima di un incidente: dopotutto la sofferenza di questa persona è affar loro nel senso che ciascuno può dirsi che la stessa disgrazia potrebbe capitare a lui. La sua curiosità può allora essere considerata un atto di sim-patia o di com-passione, nel senso etimologico, e cioè di partecipazione alla sofferenza (pathos, passio) del proprio simile. posso solo dire che ho fatto del mio meglio per suggerire i problemi piuttosto che per sottolinearli”.
Horvat non è il classico fotografo. Le sue immagini portano alla riflessione. E allora perché non fotografare persone e oggetti fuori luogo, come una ragazza in un baule o un uomo seduto su una sedia che volta le spalle agli altri? Immagini che incuriosiscono e che possono essere lette anche senza una didascalia perché “non tutto è sempre e necessariamente al suo posto”. Anche gli oggetti hanno rilevanza: si tratta di fotografare in un momento decisivo, non tanto nell’esistenza fisica degli oggetti quanto piuttosto nel fluire delle sue associazioni mentali. Altra sezione è dedicata agli autoscatti: “E così,trovandomi sprovvisto e privo di altra materia,mi sono presentato come oggetto di studio a me stesso”.
Uno sguardo particolare è affrontato nella figura della donna, in cui ci tiene ad esaltarne la spontaneità e la bellezza. Fotografa le modelle, ma in modo totalmente innovativo, senza trucco e parrucche e per le strade, cercando di cogliere l’essenza che sta dietro agli abiti eleganti e il mascara. Il suo andare contro tendenza lo portò spesso ad essere odiato dalle top model, dai parrucchieri, dalle redattrici di moda, perché vedevano la loro bellezza e i loro servizi, sminuiti. Ma le riviste pubblicavano le sue foto perché il prêt-à-porter pretendeva immagini più realistiche e le capo-redattrici cominciavano a capire. Il rapporto con il mondo dell’alta moda, diventa il luogo in cui Horvat combatte gli stereotipi, portando innovazioni assolute come l’intuizione di fotografare le modelle per le strade, realizzando immagini più realistiche, vere e spontanee.
Horvat è un fotografo analitico: si sofferma e si interroga sul mondo. Una sezione è dedicata ai numeri 1 e 2: Uno, inteso come unicità, singolarità “come il naso, la bocca e il cuore”, due come il dialogo e l’interazione: “Per dire due, devi riconoscere l’altro e ciò che avviene fra te e l’altro”.
Oggi Frank Horvat ha circa 90 anni. Egli stesso dichiara di avere una età in cui “si guarda il passato per cercarne il senso”. Le chiavi di letture da lui scelte ripercorrono la sua opera, narrando in più sfumature la sua vita, i pensieri e le emozioni, che lo hanno portato a segnare un epoca della fotografia.
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