Autore
Amministratore
di Marilena Cantini.
Quella degli immigrati è una vera e propria emergenza umanitaria, alla quale non possiamo rimanere indifferenti. Venti comuni della Valle di Susa hanno deciso di creare un protocollo di intesa per gestire l’arrivo degli stranieri nella bassa Valle, spartendoseli fra di loro, in modo da evitare l’arrivo di grandi numeri di persone senza che il Comune venga avvisato. La micro-accoglienza può funzionare, ma facendo chiarezza sul sistema dei centri di prima e di seconda accoglienza emerge chiaramente che c’è molto che non funziona. Esiste una soluzione a questa tragedia e un’alternativa alla costruzione di nuove frontiere? Sì, c’è: e viene dal 1795, quando Kant scrisse la Pace perpetua.
1. LA MICRO ACCOGLIENZA IN VALLE DI SUSA
L’accordo fra i 20 comuni della bassa Valle
Risale a febbraio di quest’anno l’accordo che venti Comuni della bassa Valle di Susa hanno firmato con la Prefettura per accogliere 112 profughi fino al 2017. Il senso dell’accordo è di creare un progetto di “micro-accoglienza”, per ricevere numeri concordati di stranieri, evitando che essi arrivino in massa e si appoggino alla cooperativa che si è aggiudicata il bando, senza che i Comuni ne siano informati. “L’accoglienza sarà regolamentata e gli amministratori dei Comuni saranno parte attiva nel controllare l’inserimento” , ha spiegato l’assessore di Avigliana, Enrico Tavan, promotore del progetto, in un’intervista a Val Susa Oggi dell’11 febbraio 2016.
La scelta della cooperativa e la copertura dei costi
L’accordo prevede che il Comune di Avigliana, capofila del progetto, si occupi della stesura del bando europeo con il quale verrà scelta la cooperativa che curerà il progetto. Spetterà alla cooperativa provvedere a trovare le strutture dove accogliere gli immigrati (preferibilmente abitazioni di privati, che così avrebbero la garanzia di ricevere un affitto) e fornire loro i servizi fondamentali (lezioni di italiano e uno psicologo di appoggio). Toccherà invece al Ministero dell’Interno e alla Prefettura di Torino farsi carico dei costi dell’accoglienza, mentre il sistema sanitario regionale e nazionale coprirà le spese dei servizi sanitari. Il progetto costerà 2 milioni di euro per 1 anno e mezzo di attività, dal 1° giugno 2016 al 31 dicembre 2017, che significa una spesa massima di 35 euro al giorno per profugo. L’operato della cooperativa verrà vigilato dai Comuni, i cui referenti siederanno al Tavolo di coordinamento per la micro-accoglienza in Valle di Susa. L’assessore Tavan, su Val Susa Oggi, ha spiegato ancora: “Il tavolo avrà anche una regia, una struttura tecnica di cui farà parte con coordinatore, un referente del Comune di Avigliana e un referente della cooperativa. La cabina di regia si occuperà di vari aspetti: segreteria e gestione delle comunicazioni interne ed esterne, del servizio informativo sulla microaccoglienza, della promozione di percorsi formativi e di accompagnamento sul tema della microaccoglienza rivolti alla cittadinanza, e per informare eventuali altri Comuni interessati circa la possibilità di aderire nei prossimi mesi all’accordo, di coordinare e promuovere attività ed iniziative culturali finalizzate a favorire momenti d’incontro e di scambio ed attività formative ed informative sui temi dell’accoglienza e dell’intercultura. Inoltre si occuperà della gestione dei posti in accoglienza, secondo e non oltre le quote stabilite dall’accordo”.
Quanti profughi per ciascun Comune?
Ecco quanti profughi ogni comune è disposto ad accogliere:
Fino a 12 profughi: Avigliana
Fino a 8 profughi ciascuno: Almese, Buttigliera Alta, Condove, Novalesa, Sant’Antonino di Susa, Sant’Ambrogio, Susa
Fino a 4 profughi ciascuno: i Comuni di: Borgone, Caselette, Chianocco, Chiusa di San Michele, Mattie, Mompantero, San Giorio, San Didero, Villar Dora, Villar Focchiardo,;
Fino a 2 profughi ciascuno: Caprie, Vaie
Anche i 44 profughi che risiedono già nella Casa dell’Amicizia di Almese fanno parte dell’accordo e verranno quindi divisi fra i comuni partecipanti.
2. IL SISTEMA DI ACCOGLIENZA IN ITALIA
La prima accoglienza: Cpsa, Cda e Cie
Il sistema che i Comuni della Valle di Susa intendono mettere a punto riguarda la seconda accoglienza. I migranti che usufruiranno del progetto sono già passati attraverso uno dei centri di prima accoglienza. I centri di prima accoglienza sono: centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa), centri di accoglienza (Cda) e centri di identificazione ed espulsione (Cie). La descrizione degli stessi è stata presa dal sito del Ministero degli interni, che ha pubblicato un articolo per definire tali tipologie il 28 luglio 2015. I Centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa) provvedono a fornire agli stranieri al momento del loro arrivo in Italia le prime cure mediche necessarie, oltre all’identificazione e alla raccolta delle richieste di protezione internazionale. Successivamente, a seconda della loro condizione, gli ospiti dei Cpsa vengono trasferiti nelle altre tipologie di centri. I centri di accoglienza (Cda) si occupano della prima accoglienza allo straniero rintracciato sul territorio nazionale per il tempo necessario alla sua identificazione e all’accertamento sulla regolarità della sua permanenza in Italia. I centri di identificazione ed espulsione (Cie) si occupano dell’espulsione e di consentire l’esecuzione del relativo provvedimento da parte delle Forze dell’ordine per gli stranieri giunti in modo irregolare in Italia che non fanno richiesta di protezione internazionale o non ne hanno i requisiti. Il tempo di permanenza (18 mesi al massimo, secondo il decreto legge n.89/2011 convertito dalla legge n.129/2011) è quello necessario all’espletamento delle procedure di identificazione e a quelle successive di espulsione e rimpatrio.
2 La seconda accoglienza: gli Sprar e i Cara
Del servizio di seconda accoglienza fanno parte i cosidetti Sprar (Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati), i Cara (Centri di accoglienza per i richiedenti asilo) e i Cas (Centri di accoglienza straordinaria). Gli Sprar sono nati all’interno di un programma nazionale d’asilo di seconda accoglienza creato nel 2001 dal Ministero dell’Interno, dall’Associazione Nazionale dei comuni italiani e dall’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, istituzionalizzato dalla legge n.189/2002. Gli enti locali, che accedono al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, si occupano di organizzare interventi di “accoglienza integrata”: non solo forniscono vitto e alloggio, ma anche organizzano servizi di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento al mondo del lavoro. Ogni tre anni, il Ministero degli Interni emana un bando a cui partecipano gli enti locali, le cooperative e le associazioni che vogliono aggiudicarsi la gestione di uno Sprar. Al loro interno, possono alloggiare, oltre ai richiedenti asilo, anche i soggetti che godono di protezione (per es. minori) o vulnerabili (per es. a rischio di sfruttamento, per esempio per prostituzione). Questi soggetti, come anticipato, godono di diversi sevizi che, almeno in linea teorica, mirano alla loro autonomia, oltre che al’inserimento nel mondo del lavoro e della società. I corsi di italiano, di formazione, di inserimento scolastico, di assistenza legale e di inserimento lavorativo hanno l’obiettivo di rendere l’immigrato autonomo all’interno della società. Non solo si può obbiettare che è difficile per una persona rendersi autonoma e indipendente, all’interno di un percorso obbligato che lo guida passo passo in ogni momento della sua vita in Italia. Va anche notato che meno del 50% delle domande ottiene una risposta positiva dalla Commissione, con il permesso conseguente di rimanere nel nostro Paese (il dato viene dal Ministero dell’interno, Rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia, ottobre 2015). Viene spontaneo domandarsi che cosa se ne fa lo straniero di imparare l’italiano e magari anche un mestiere, se tanto poi molto probabilmente verrà bollato come clandestino illegale. Soprattutto, mettendosi nei suoi panni, ci si chiede perché mai dovrebbe sforzarsi di parlare una lingua straniera e di imparare come si vive in una società che sta solo prendendo tempo prima di rifiutarlo, fingendo che la sua attesa sia un percorso di inserimento: un inserimento che non avverrà mai.
I centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) si occupano invece dell’identificazione e dell’avvio delle procedure relative alla protezione internazionale per gli stranieri irregolari che richiedono la protezione internazionale. Sono stati istituiti nel 2002 con il nome di Cdi, Centri di identificazione: si tratta di centri a carattere detentivo, il cui nome è stato trasformato in Cara con un Dlgs del 2008. In Italia sono 13, la permanenza al loro interno non dovrebbe superare i 35 giorni e alcuni sono stati decretati Hub, ossia luoghi di smistamento usati come residenze temporanee dove alloggiare gli stranieri in attesa del trasferimento.
Segue ….
(M.C. 14.04.16)
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