Mi sono accorto, circa tre settimane fa, quanto il cristianesimo della vulgata incida nelle nostre vite. Di certo me n'ero già reso conto una miriade di volte, ma i risibili episodi del nostro quotidiano incidono a volte nelle nostre misere menti più della più approfondita dissertazione filosofica.
Sicché era un pomeriggio di bellissimo sole, prima che il vento mondasse ancora ulteriormente il cielo, e ci sarà stata la prodigiosa temperatura di diciotto o venti gradi, presumo. Laddove un pagano avrebbe gioito, convinto di aver meritato tanto benessere dagli Dei, io, mio malgrado cristiano (l'estirpazione del germe è cominciata anni fa, ma la lotta è durissima e senza tregua), prefiguravo di già la punizione divina, colpevole di questa gioia: pioverà poi questa primavera, farà freddo la prossima estate, è colpa dell'inquinamento.
Con un salto logico proficuo al mio articoletto, è la stessa differenza che intercorre tra tentativo e fallimento. Due scuole di vita e di pensiero, due mentalità, due correnti esistenziali. Laddove in un Paese anglosassone si glorificherebbe l'epopea di un trionfo giunto dopo innumerevoli tentativi, qui, ribattezzando una cosa andata male "fallimento", negheremmo ulteriori e future possibilità al protagonista del cimento.
Con un salto logico, immotivato e che serve solo da raffazzonato collante tra cose che volevo comunque dire, mi spiace dire che il fallimento, ed il campo semantico che lo contiene o che ne emana, viene percepito quasi esclusivamente in campo lavorativo: è fallita una banca, è fallita la mia impresa, è fallita la mia attività, ecc. Può essere associato anche ai sentimenti, ma solo se confezionati ed etichettati da qualche diavoleria piccolo-borghese: è fallito il mio matrimonio, ha una convivenza fallita alle spalle.
Tra tutte le cose che non mi vergogno di dire, al contrario di altre persone, come ad esempio cose sconce o il non avere soldi, ammetto sempre con serenità e orgoglio e onestà intellettuale di essere un fallito. Non tanto perché non ho realizzato nemmeno una delle cose che sognavo da bambino o da ragazzo (questa è una cosa comune che accade a chi, chissà perché, vola troppo alto); ma più di tutto perché la vita delle persone che ho amato è uguale, o più felice, ora che io non ci sono più: ora che io non sono più con loro.
Per questo, sempre, mi stupisco quando qualcuno si suicida se perde il lavoro. Per questo, sempre, mi stupisco quando qualcuno rimane in vita dopo aver perso l'amore.
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