Tante volte, parlando con qualche amica o, soprattutto, leggendo svarianti post sui social network, scopro che le donne, indicativamente quelle della fascia d’età che va dai 27 ai 45 anni (dati del tutto approssimativi e tarati sulle mie sensazioni), si lamentano della mancanza di uomini veri e rimpiangono quelli d’altri tempi.
Bene. Tralasciando il concetto di uomo vero, che ci porterebbe a discorsi da cabaret o pseudo-filosofici o maschilisti o femministi o retorici (l’uomo vero è quello che sa piangere senza vergognarsi, l’uomo vero è deciso e sa prendersi le proprie responsabilità, l’uomo vero sa aggiustare tutto in casa, l’uomo vero si intende di motori e gioca a calcio, l’uomo vero ha da puzzare, ecc…), mi concentrerei su un primo dato che ha sempre il potere d’allibirmi: la reiterata irragionevole edulcorazione del passato. Ed in questa macro-parentesi, rientra anche la compianta figura dell’uomo d’altri tempi.
C’è una cosa che tutti trascurano quando sognano di vivere nel passato e di partecipare alla società civile di epoche trascorse: quella che sarebbe stata la loro condizione sociale ed economica allora. Tutti credono infatti di essere, alla meglio, della stessa classe dei personaggi che hanno letto sui libri o che hanno fatto la Storia; tutti si immaginano artisti bohemien imbottiti d’oppio per i vicoli di Parigi, tutti s’immaginano di poter oziare, dopo aver potuto studiare e viaggiare. Ma la maggior parte di noi, io compreso, è figlia di generazioni di contadini che, durante le epoche rimpiante, sarebbero stati degli analfabeti clamorosi, poveri in canna, timorati di Dio, regolati da riti ancestrali, lune e falò. Quindi mi chiedo quale sia l’uomo d’altri tempi che queste donne rimpiangono: uno del loro ceto? Un minatore d’inizio Novecento? Un contadino di un latifondo siciliano? Uno spazzacamino? Quali dialoghi s’immaginano, or dunque, con questi poveri cristiani? Quali buone maniere? Quali galanterie? Quali confronti culturali? Mah.
Veniamo al secondo caso. Ovvero figlie di figlie di figlie di figlie di quella che allora era aristocrazia o borghesia. Si pensa che i maschi appartenenti a questa categoria siano stati migliori? I principi azzurri aspettati una vita? Esseri di buone maniere, inestimabile onore, illimitato rispetto per la donna? Temo di no. Riassumendo, per continuare nella mia provocazione, potrei parlare di matrimoni combinati, vite separate, amanti fisse, dependance allestite per scappatelle acclarate, quasi totale trascuranza dei figli affidati a balie e precettori, considerazione per la donna molto bassa (nemmeno tra gli scrittori, a leggere i romanzi delle epoche che portiamo in trionfo, troverete qualcuno che encomia le donne su tutta la linea).
Dunque qual è l’uomo d’altri tempi che viene rimpianto. Un uomo anni ’60? Anni ’70? Non si tradiva? Ci si sposava sempre per amore vero? Consideravano la donna come un fiore da non sciupare nemmeno con un soffio fatato? Mah.
Molte di queste lamentele che leggo sui social vertono sull’indecisione dell’uomo contemporaneo. “Anziché scriverci, venite sotto casa a prenderci” e altre istanze di questo tenore. Non oso immaginare le reazioni se questo succedesse: mi limito a fantasticare sulle imbarazzanti situazioni che si verrebbero a creare.
Se, infine, la si volesse buttare sul comico e sull’aspetto fisico, ipotizzando che le donne si lamentino di questi esseri efebici con sopracciglia raffinate, pelle lampadata e tatuaggi e muscoli pompati, si cadrebbe malissimo. Giacché, basta guardarsi intorno, gli uomini siffatti sono circondati dalle donne più belle del circondario. Che questo piaccia o no, che si voglia fare retorica o no, che si voglia stucchevolmente discutere per millenni sul concetto di bellezza e sui gusti degli occhi di chi guarda.
Insomma, se fossi una donna (oltre a tirarmela da morire ed essere antipaticissima), più che rimpiangere l’uomo d’altri tempi, proverei a sognare l’uomo del futuro. Sperando sia migliore di tutti i suoi predecessori.
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