Autore
Maria Lisa Amatulli
"Procediamo col decreto ingiuntivo…” Chiusura della telefonata col mio amico avvocato, mi chiedeva se procedere o meno nei confronti di una cooperativa. Un attimo, cominciamo dall’ inizio.
Un ente ministeriale (che tutela i beni culturali e archeologici) ha interesse e necessità di restaurare dei reperti rinvenuti da uno scavo archeologico ma non avendo più in organico i restauratori messi in pensione, attinge da un indotto e si avvale delle professionalità esterne come la mia. Il funzionario scientifico responsabile del procedimento, col quale ho costruito nel tempo un saldo rapporto di fiducia, mi interpella e propone come in uno speed date, la sottoscritta e la cooperativa di archeologici che sta eseguendo i lavori di scavo in sub-appalto. Fin qui niente di anomalo, è prassi. I due per fortuna si piacciono e stabilito il preventivo (attenzione si tratta di un importo corrispondente a qualche stipendio di un impiegato di medio livello più IVA per un tempo di intervento stimato in massimo 45-55 giorni di lavoro) firmano il contratto. I due “fidanzati”, la restauratrice e la cooperativa, si conoscono in corso d’opera e nonostante qualche piccolo disaccordo e divergenza il lavoro viene portato a termine dalla restauratrice, con il parere positivo del funzionario archeologo dell’ente ministeriale che ha seguito l’intervento. Però stranamente incominciano i primi segnali di crisi tra i due fidanzati, la restauratrice e la cooperativa; il lavoro di restauro per essere definito completo e concluso va accompagnato da un accurato lavoro di schedatura della procedura d’intervento di ogni singolo reperto archeologico restaurato. Viene effettuata quindi la prima consegna della documentazione cartacea alla cooperativa, ma come un fidanzato che si sente tradito non accetta il lavoro di schedatura adducendo scuse (in pratica sta prendendo tempo).
E’ crisi conclamata ormai e dopo un braccio di ferro tra i due ex fidanzati la restauratrice redige nuovamente il lavoro di schedatura, pur di arrivare all’agognato obiettivo finale: essere pagata! Queste situazioni incresciose possono capitare facendo un lavoro autonomo, è il rischio “imprenditoriale”, ma credetemi se c’è l’intenzione di pagare un accordo lo si raggiunge sempre e subito. Quindi dopo aver completato la seconda stesura del cartaceo consegnato ed emesso fattura, la cooperativa tacque. E tacque per mesi. Dopo mesi di solleciti la cooperativa chiese alla restauratrice il “certificato di regolare esecuzione” dell’intervento di restauro da parte dell’ente ministeriale. Mai successo prima che fossi io stessa a dover chiedere un certificato sulla regolarità del mio lavoro per essere pagata dalla cooperativa affidataria, stanno prendendo altro tempo. Passano altri mesi di telefonate negli uffici dell’ente ministeriale nel tentativo di tracciare il percorso del famoso certificato, che finalmente arrivato nelle mani della restauratrice lo girò immediatamente alla cooperativa accompagnato dalla lettera dell’avvocato. Alla scadenza dei tempi imposti per legge la cooperativa ammise che non aveva i soldi per pagare!
Questa storia si è svolta nell’arco di un anno e mezzo durante il quale è trascorsa una vita, la crisi economica è esplosa anche nel settore dei beni culturali e tante situazioni professionali complesse hanno comportato anche la chiusura della “partita Iva” della sottoscritta. E ancora mi pongo la domanda: ora chi mi paga? Potrebbe l’ente ministeriale garantire e tutelare le due parti in queste trattative? Per il restauratore esterno di essere pagato regolarmente e nei termini, per la ditta affidataria che il lavoro effettuato sia a norma, come in questo caso. Soprattutto quando si tratta di piccoli importi che non prevedono gara d’appalto,fideiussione e quando si tratta di cooperative, società, o ATI extra-territorio che possono fallire e chiudere da un giorno all’altro per mancanza di lavoro o disaccordo tra i soci, difficilmente poi rintracciabili.
Il rapporto di fiducia tra ente ministeriale e professionalità esterne deve essere reciproco, l’ente ministeriale chiede garanzie prima di affidare un lavoro al restauratore o collaboratore, ma la mia figura professionale è lasciata da sola in queste situazioni, pur avendo la solidarietà del funzionario ma nella realtà impossibilitata nel garantire il diritto fondamentale di essere remunerato col proprio lavoro svolto con perizia, passione ed entusiasmo. E quindi caro ente ministeriale, ora chi mi paga?
Maria Lisa Amatulli
On-line dal 19-09-2014 questa pagina
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