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Worcup17
Da qualche anno gli spazi di coworking stanno emergendo come punto di riferimento nel dibattito intorno alle nuove forme di organizzazione del lavoro. Tuttavia, abbastanza spesso questo ruolo viene attribuito in forme poco riflessive o critiche, e l’attenzione spostata su alcuni aspetti tecnici o sulla vernice culturale piuttosto che sul loro reale peso socioeconomico.
I modelli si sono moltiplicati rapidamente: gli specialismi e gli orientamenti, le basi e le fonti economiche d’investimento, i target prescelti formano ormai una famiglia di oggetti tra loro imparentati come organizzazioni, ma competitivi sul piano della comunicazione e della capacità di intercettare la domanda di questi servizi. Ciò nonostante si dovrebbe far sempre leva sui due elementi forti e fondativi che spesso invece si tende a mantenere sullo sfondo:
1. uno spazio di coworking non sta in piedi (economicamente e socialmente) se non fa riferimento ad una comunità (la community del linguaggio anglicizzante che va tanto di moda);
2. uno spazio di coworking non cresce e non si sviluppa, se non contempla tra i suoi obiettivi e attività l’incubazione d’impresa, la progettazione, lo sviluppo e l’accompagnamento di idee e progetti in cerca di strutturazione.
Ma dietro a questi due capisaldi, più volte confermati dalle esperienze di maggior successo, dalla lettura della composizione dei bilanci delle organizzazioni che reggono e funzionano, c’è ancora altro: la volontà (una ricerca, una spinta verso) di concepire il lavoro in una forma che consenta di lavorare meglio, lavorando insieme. Dove per meglio si possono intendere molte cose, ma certamente tra le prime il benessere ispirato dal contesto, l’orizzontalità dei rapporti di colleganza, lo spazio e il riconoscimento dato alle competenze di tutti, l’occasione per recuperare creatività, la voglia di apprendere ed aggiornarsi in processi informali. La qualità delle relazioni è messa al centro, perché lavorare in modo diverso significa anche aspirare ad un modello economico di riferimento diversamente fondato. Non il cartello di professionisti, non lo scambio di favori e di portafogli clienti, non l’aumento dei profitti o della produttività individuale. Può accadere anche questo, e va bene. Ma come ricaduta non necessaria di un modello di relazioni produttive centrato sulla valorizzazione delle personalità professionali e umane dei partecipanti alla comunità di riferimento.
Oggi il magma composito dei professionisti di ogni tipo - partite iva, microimprese, ditte individuali -, dei mille modi in cui dal basso è stato affrontato il tema della crisi e del ripensamento dei ruoli necessario con l’esternalizzazione di massicce quantità di lavoro intellettuale dai luoghi tradizionali di attivazione e di rilancio dei processi produttivi, già svolge una funzione insostituibile di collante interstiziale, di tenuta dell’insieme, di struttura portante. Lo fa da un punto di forza assai indebolito dalla sparizione degli spazi di contrattazione e di parola, dalle opportunità di racconto e disegno del mondo. Talvolta li recupera in forme satellitari o periferiche, come controcultura, come minoranza (e anche in questo caso, a volte realmente impegnata e concreta, a volte solamente patinata e snob). Oppure, lo fa con la rabbia e il rancore degli espulsi, degli esodati, dei tartassati, degli stressati di ogni tipo. Di quelli che hanno come compito e incubo la fine del mese. Dei sopravviventi.
Quel che uno spazio come Worcup! vorrebbe ispirare è un’idea ambiziosa ma trainante di cooperazione per individuare nuove forme di relazione che contemplino il benessere collettivo e la valorizzazione delle competenze al lavoro come output, trovando nella cornice del coworking l’elemento di nesso (leggero e mobile) che consenta di esplorare davvero nuove basi per nuovi modelli di economia. Con molte declinazioni (economia etica, sociale, solidale, green, capace di futuro…) e senza gabbie. Con nuove opportunità di collaborazione e scambio tra generazioni, un nuovo senso di condivisione degli obiettivi, un rinnovato interesse verso l’apprendimento, il saper fare, che passa dall'esempio, dalla condivisione, dal lavoro di gruppo. La comunità non è allora solo una crew, un destinatario dell’ultimissimo messaggio glam. È una compagnia operosa e divertita che cerca di stare al mondo con maggiore dignità, senso del reale, amore per il proprio lavoro, voglia di inventare e reinventarsi. Comunità di commensali e di sognatori, forse. Di artisti, artigiani, contadini, ingegneri, architetti, comunicatori, intellettuali, manovali, imprenditori e progettisti che si confrontano intorno a delle visioni, della società locale e del mondo, del loro futuro e del presente di tutti, senza omologarsi ma cercandosi, senza identificarsi (in cosa?), ma riconoscendosi. Comunità al lavoro.
Worcup17
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