Autore
Davide Amerio
Con i profondi sensi di risentimento, maturati negli ultimi due anni con la pessima gestione della pandemia (menzogne, accuse, proscrizioni a chiunque abbia messo in dubbio la validità sia delle vaccinazioni, sia della gestione sanitaria); la preoccupazione per l’inflazione; i falliti tentativi di piegare la Russia (con conseguente ritorno del danno economico verso di noi); la manifesta disaffezione del cittadino medio, nei confronti della politica tutta, è palpabile nell’aria.
È questo modello costituzionale a non funzionare, a non essere più adatto ai tempi contemporanei? (impossibilitato a sostenere la gestione dei conflitti, le innovazioni tecnologiche, la complessità del mondo geopolitico?)
La Democrazia affonda le sue radici nel pensiero e nella inventiva dei Greci antichi per dotarsi di uno strumento che consentisse di legittimare l’esercizio del potere all’interno delle Polis. La demo-kratia, quale governo del “popolo” ha conosciuto favori e profonde avversioni a seconda dell’immagine antropologica di riferimento sulla natura umana.
Chi la considerasse soggetta a ignoranza, violenza, povertà, incapacità, desideri irrazionali, vedeva nella demo-krazia (il potere nelle mani della moltitudine) la fonte delle peggiori disgrazie e tragedie. Altri intravedevano la possibilità che queste “masse” potessero evolvere proprio grazie alla partecipazione del governo della polis (la politica come “educazione”): se il singolo è carente di conoscenze, la comunità, considerata nell’insieme, è in grado di valutare meglio ciò che sarebbe il bene (giusto) per tutta la cittadinanza.
I Greci avevano maturato la consapevolezza che i tre modelli di governo (Monarchia, Aristocrazia, Democrazia costituzionale) potessero trasformarsi nella loro degenerazione: Tirannide, Oligarchia, Democrazia assembleare (soggetta ai demagoghi). La distinzione era valutata sulla base della qualità dell’azione di governo: se questo agiva al servizio della comunità (quindi del popolo), oppure al servizio esclusivo di chi detenesse il potere. Il “leader” o “capo” era legittimato a esercitare il governo dal possesso di determinate “virtù”: sia di carattere tecnico e giuridico, sia politico, sia morale.
Nel XX secolo il filosofo Norberto Bobbio ha offerto una definizione di Democrazia moderna come istituzione “formale” che permette di definire “chi” governa (quali soggetti) e “come” (con quali procedure). Essa non riguarda il contenuto, ovvero le scelte politiche pratiche che verranno adottate da chi governa seguendo la propria filosofia. Queste regole, definite “Universali Procedurali”, sono così riassumibili:
Principio di Eguaglianza (principio di inclusività): tutti i cittadini, che abbiano raggiunto la maggiore età, senza distinzione di razza, di religione, di condizione economica, di sesso, debbono godere dei “diritti politici”, ovvero ciascuno deve godere del diritto di esprimere la propria opinione o di scegliere chi la esprime per lui
Principio di Equivalenza: il voto di tutti i cittadini deve avere peso uguale
Libertà Soggettiva (libertà della pubblica opinione): tutti coloro che godono dei diritti politici devono essere liberi di poter votare secondo la propria opinione formatasi quanto più è possibile liberamente, cioè in una libera gara tra gruppi politici organizzati in concorrenza tra loro. Fondamentale, a riguardo, la protezione da informazioni “distorsive”: deve essere effettiva la pluralità dei mezzi di informazione
Libertà Oggettiva (pluralismo delle opzioni): reale possibilità di scegliere tra programmi effettivamente diversi e alternativi, proposti dai partiti politici
Efficienza del processo di decisione: la regola della maggioranza si applica per ogni organismo deliberativo e per la selezione degli eletti
Diritti delle Minoranze: nessuna decisione (presa a maggioranza) può limitare i diritti della minoranza, alla quale deve essere garantito il diritto di diventare maggioranza a sua volta.
Un’ultima regola, di salvaguardia generale, concerne le Regole del Gioco Democratico: nessuna decisione politica può modificare queste regole; il venir meno di una sola, compromette il funzionamento del sistema stesso.
Osservando gli ultimi trent’anni della storia politica italiana non è difficile rendersi conto di come tutte queste prescrizioni siano state violate. Si tratti di leggi elettorali, di tentativi, più o meno riusciti, di modifiche Costituzionali, dello sviluppo padronale dell’informazione, la nostra democrazia ha subito un continuum di picconate e aggressioni.
Parallelamente, e non casualmente, hanno trovato spazio leggi e normative di stampo prettamente neo-liberistico, ben lontani dallo spirito costituzionale (liberale, socialista, azionista, cattolico) tracciato dai Padri Costituenti. La brutale cessione di sovranità, che ha legato l’Italia ai Trattati Europei, ha completato l’opera, negando gli strumenti di politica economica (fiscali e monetari) necessari per la creazione del benessere collettivo.
Il fallimento di queste decisioni politiche è palese. Dalla crescita delle diseguaglianze sociali, di reddito e mobilità, alla distruzione della classe media, alla crescita della povertà e della precarietà del lavoro, sino alla erosione del welfare state in nome dell’austerity e del pareggio di bilancio.
Nella progressiva diseducazione civica dei cittadini, pianificata negli ultimi decenni, il “popolo” ha così perso di vista una questione fondamentale: le Leggi scritte non sono sufficienti per una buona politica. Se gestite da persone che operano per esclusivo proprio interesse, il sistema si trasforma nelle degenerazioni già previste dai Greci.
Ricordo il dibattito specioso (anni ‘80) volto a decidere se contassero più le persone o i programmi politici. Come se un buon programma, in mano a un incapace, potesse produrre qualche effetto positivo. E viceversa: una persona abile senza un chiaro indirizzo strategico può fare ben poco di utile.
Torna allora di attualità, in termini moderni, quella “episteme” degli antichi: la necessità di un insieme di “virtù” che dovrebbero contraddistinguere un politico, o un leader. Sia le abilità tecniche ma, anche e sopratutto, quel sentimento di “servizio” verso il “popolo”, inteso nella sua accezione ampia, di attore composto da una pluralità di soggetti con interessi divergenti.
Il neo-liberismo, nella sua logica consumistica, partorisce invece demagoghi, necessari per l’acquiescenza al sistema. Lo scopo è mantenere viva l’illusione tipica populista: la seduzione di un futuro esclusivo che solo lui (il demagogo) può garantire. Egli tiene alta la tensione dello scontro frontale tra gruppi (apparentemente) contrapposti, affinché sia evitata la presa di coscienza del reale conflitto: quello tra cittadini-sudditi e un sistema feudale di gestione del potere (neoliberista) che si regge sulle fondamenta di un finto libero mercato.
L’astensione rappresenta non l’inadeguatezza del sistema democratico liberale di produrre benessere, quanto l’incapacità conclamata del cittadino medio di riconoscere il demagogo di turno e le sue promesse. Deluso continuamente nelle aspettative, rinuncia al proprio ruolo, e si limita a esercitare una inefficace apatia.
Riaffermare, con tenacia e intransigenza, i fondamenti e lo spirito della nostra Costituzione è una necessità primaria.
[p.s.: l’articolo è stato modificato in alcune parti rispetto all’originale pubblicato]
Davide Amerio
On-line dal 13-03-2023 questa pagina
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