Sono passati circa 40 anni da quando Ugo Venturini, mi diede un passaggio in autostop, io quindicenne, avevo scritto e cantavo già dal vivo “ per un buco di eroina “ un testo molto naïf e crudo del Vietnam che vedevo tutti i giorni.
lui mi fece vedere un modo meno didascalico di raccontare la vita e nacque Adissabeba.
Adissabeba è il nostro purgatorio sociale, incubatore di incubi .
Per me quasi come scavare nel deserto una antica necropoli, ma in realtà, mi ricordava che non avevamo visto male e che l’evidenza dell’efferatezza, di quel che vedevamo attorno, ci sbigottiva.
Ho rallentato tutto all’estremo, volevo che il testo emergesse piano dalla sabbia, come un reperto archeologico che ci parla del nostro presente, con delicatezza, con quei colori cupi, uguali a quelli che vediamo ancora oggi.
volevo però che ci fosse la forza di quei tempi, e ringrazio Dan Solo e Matteo Grosso, per aver messo da subito una bella energia.
e un grazie a Tino Paratore, che al cerchio perfetto sopporta i miei metodi poco ortodossi e ha dato i giusti colori a questo progetto
Dove mettere tutto questo?
Se non su una cassetta di marmo?
Non una lapide, ma totem che si amalgama con il tempo rimandando domande e risposte a prima della visione del brano stesso, perché quelle erano e quelle rimangono.
La tua piazza è il centro del mondo, la tua piazza fa schifo, ci sono cadaveri in putrefazione, macchine che bruciano, muri che dividono il peggio dal peggio, ma nuove chiese vengono erette in deserti sociali, in vuoti esistenziali, in socialità avvizzite, attualità millenaria.
Come miliare vogliamo sia la posa di questa prima pietra.
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