Hanieh Eshtehardi, giovane studentessa iraniana da poco diplomata all'Accademia Albertina, si fa portatrice di una ricerca pittorica di estrema raffinatezza formale.
Tale raffinatezza non è però fine a se stessa ma erede della grande tradizione iconografica persiana, dove la meticolosità del lavoro è sinonimo di adesione spirituale ai valori dello stesso.
Un linguaggio dal sapore antico è calato nella dimensione del presente, per indagare la condizione femminile e l'ossessione per l'immagine e la cura del corpo.
Nella stagione post moderna abbiamo avuto, negli anni ’70, il fenomeno estremo della “body art” il cui il corpo si liberava dai vincoli in cui era stato ingabbiato per lunghi secoli e dalla cui sudditanza non era stato pienamente emancipato dalla società capitalista, e riscopriva sé stesso come elemento comunicante ed autonomamente “artistico”, andando a fondersi empaticamente con l’esterno e l’altro da sé a partire dalla propria condizione di consapevolezza interiore.
Ai giorni nostri i termini della questione, gli elementi dialettici, sono rinvenibili all’interno del diffuso tentativo di ricostruire una identità individuale, sottraendola alla dispersione cui pare destinata dagli ambivalenti e leggermente ambigui effetti dell’innovazione tecnologica e dell’informazione globalizzata. Quindi, all’identità dispersa e frammentata, pura forma e significante incapace di intrattenere rapporti con il prossimo con cui si limita a fugaci ed effimeri contatti, eteree toccate e repentine fughe, si cerca di sostituire il contenuto capace di dare significato all’esistenza, di riaffermare la “presenza”.
Negli ultimi tempi abbiamo assistito all’interno dello scenario sociale, e in Italia ciò e avvenuto con una particolare evidenza, ad una ulteriore deriva del concetto di corpo.
Sopratutto per quanto concerne una sorta di nuova politica della sopravvivenza dove l’attenzione maniacale verso il proprio aspetto fisico è vissuto come dovere primario, e la consolazione consiste nella successiva mercificazione di sé, nel raggiungimento di una competitività in cui gioca un ruolo primario il proprio aspetto fisico.
Modificare il corpo per via chirurgica, robotica o cibernetica è l’assunto post moderno per garantirsi la sopravvivenza al di là del rischio premoderno della dipartita fisica come negazione dell’esistenza individuale.
Hanieh Eshtehardi, artista dotata di una naturale predisposizione alla manualità ed alla precisione pittorica, degna di un'antica miniaturista, ha sempre posto la riflessione tra anima, corpo e mondo, al centro del suo progetto artistico ed estetico.
Dopo una ricerca iconografica stimolante sul corpo umano visto nella sua anomalia genetica, come nel caso dei "gemelli siamesi", resa con immagini dotate di un visibile senso di autentica empatia, l'artista ha indirizzato l'attenzione sulla sua storica, affascinante e tormentata terra, l'Iran, dove l'ossessione per una presenza fisica in grado di non passare inosservata, a costo di ricorrere ad estenuanti e costosi trattamenti di chirurgia estetica ha raggiunto apici sconfinanti nella paranoia, difficilmente intuibili da chi non detiene informazioni di prima mano sul paese.
La giusta attenzione alla cura estetica del proprio corpo, da sempre ben viva e presente in Asia. è scivolata, forse essendo una delle poche forme di protagonismo espressivo tollerate dall'attuale regime, verso la dimensione ibrida del "postumano".
Penso sia utile riportare alcune illuminanti osservazioni dell'autrice :
" Si può osservare chiaramente che gli elaborati si basano su antiche opere d’arte Persiane risalenti al XVII e XVIII sec d.c., questo percorso mi ha portato involontariamente a vivere l’esperienza di un confronto con il passato e intervenire chirurgicamente sui volti e i corpi dei soggetti raffigurati.
Il termine chirurgia si riferisce alla fisionomia del viso che ho utilizzato nei lavori, si può notare come questi siano di carattere caricaturale ma in verità sono stati copiati da fotografie di soggetti realmente esistenti, il fatto che si presenta sconcertante è che pure nella realtà questi individui si sono sottoposti a interventi chirurgici tali da modificare il proprio corpo, al punto da farli diventare fisionomicamente irreali, infatti, le labbra che nell’opera sembrano esagerate, corrispondono invece al soggetto reale. Ho mantenuto le caratteristiche del risultato finale di un operazione chirurgica. Si può asserire che questi risultati di chirurgia estetica sono il frutto di un operazione che richiede abilità manuale, proprio come un’artista nel realizzare l’opera, le qualità di un chirurgo sono quindi prese in considerazione quando si sceglie uno specialista nel campo per sottoporsi ad una operazione, questo indica che al dottore vengano inconsciamente richieste qualità di scultore per realizzare le proprie “labbra” ideali, quindi, affidandosi al “talentoso sbagliato” si può ottenere un risultato errato, lo squilibrio delle proporzioni, un fattore estetico appartenente all’immaginario, e che proprio nell’epoca da cui ho tratto le basi di partenza dei dipinti, ‘600 - ‘700, erano possibili solo nell’immaginazione di un uomo, al massimo, il suo materializzarsi in una immagine. Da questi ragionamenti sono arrivata durante la lavorazione delle mie immagini, talvolta, a sentirmi come un chirurgo il cui strumento era la pittura, intervenire sui volti, sulla fisionomia armoniosa del passato, e sostituirla con quella sproporzionata, eccessiva del presente"
Le tavole di Hanieh Eshtehardi, tutte di dimensioni medio grandi, e di raffinato e coinvolgente impatto visivo, pongono in essere due differenti canoni di bellezza, distanti tra loro alcuni secoli, evidenziando affinità e differenze. L'enfatizzazione e la teatralità dei tratti somatici, già riscontrabile nelle antiche miniature, è oggi ottenibile grazie al progresso tecnologico. Un lavoro di profonda riflessione concettuale reso con il tramite di una manualità di non comune maestria.
Edoardo Di Mauro, dicembre 2017
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