"Questa è la storia di un esperimento che solo a teatro (per ora…) si può fare. Se nelle università si ragiona sulla possibilità e opportunità di far rivivere il mammut o altre specie estinte, allora a teatro con un esperimento mentale, si possono far rivivere i nostri antenati, fino ai progenitori della specie.
Così, per ragioni che non qui si spiegano per non rovinare la sorpresa, alcuni scienziati improvvisati o improbabili organizzano una formidabile reunion di famiglia seguendo il filo dell’eredità contenuta nei geni.
Grazie alle applicazioni derivate dal progetto genoma umano, la paleontologia sta riscrivendo quanto pensavamo di sapere sulle nostre origini, così, forzando un po’ la mano, si può immaginare di ricostruire l’albero genealogico, o, per meglio dire, il cespuglio.
Cosa accade quando (quasi) tutti gli antenati si ritrovano insieme nel nostro tempo? Come ci si parla, come ci si capisce? Quali risposte ci aspettiamo da questo strano incontro?
Agli antenati proviamo a raccontare cosa siamo diventati, le nostre speranze e preoccupazioni sul futuro. La necessità di farsi capire impone di usare parole semplici per descrivere questioni epocali che diventano personali.
Ecco la ragione per fare a teatro questo esperimento.
La globalizzazione, Internet, l’intelligenza artificiale, la bíoingegneria producono accelerazione e discontinuità che danno eccitazione e disorientamento, stupore e nuove abitudini. Le nuove applicazioni hanno bisogno di acceleratori, di incubatori di idee. Allora il filò a teatro serve a rallentare il flusso, a unire i puntini del disegno attraverso la forza dell’oralità. L’oralità che fa da bussola, che smaschera i
termini difficili (smontandone la forma e i tecnicismi) per renderli narrabili, capaci di muovere pensieri ed emozioni.
Lo spettacolo ha una durata di circa due ore ed è diviso in due tempi: primo e un terzo tempo (il secondo non c’è…). Il primo tempo racconta il filo che ci lega al passato e che probabilmente continuerà dopo di noi (salvo tecnologia e imprevisti…).
Si sviluppa come una storia che però ne contiene altre che restano in sospeso.
Dopo l’intervallo comincia il terzo tempo e non si fa più teatro, si fa filò. Filò. Una forma più magra di racconto dialogante. Un filo di storie tenuto insieme con mestiere (quel che basta) e necessità (quella non manca). Era Filò nel Veneto “una veglia contadina nelle stalle durante l’inverno ma anche interminabile discorso che serve a far passare del tempo… e niente altro”, così diceva Andrea Zanzotto. Il Filò, il “terzo tempo”, ha durata variabile, dipende dal dialogo, dalla passione, dalla stanchezza.
Nota: da alcuni anni uso la parola Filò insieme ad altre per indicare delle serate dove dialogo con gli spettatori e racconto storie. Benché il percorso sia segnato da temi ricorrenti ed alcuni trasporti di ragionamenti da una serata all’altra, da un titolo all’altro, Filo Filò è uno spettacolo completamente diverso e nuovo rispetto al precedente Tecno Filò di due anni fa. Fare il Filò, significa per me affrontare una performance diversa dello spettacolo, mettermi in ascolto, creare con le storie un flusso diverso sera per sera che dà senso al mio fare teatro." Marco Paolini
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