Autore
Alice Arduino - Talco Web
“Dove, come quando, quanto prendo, la scelta mi attiene, il mio corpo mi appartiene”
(motto del manifesto Les Putes)
Thierry Schaffauser (24 anni) e Maitresse Nikita (47 anni) sono due sex worker che vivono in Francia, rispettivamente uomo e donna e hanno deciso di fare dell’arte sessuale una professione. Hanno scritto un libro, “Fiere di essere puttane” e fondato l’associazione “Les Putes” che ha come obbiettivo la lotta alla “puttanofobia” e promuove il “Putes Pride” ogni anno (18 marzo), rivendicando la loro professione come libertà di decidere sul proprio corpo.
Negli anni Settanta, grazie ai movimenti femministi americani, sorge negli Stati Uniti, a Los Angeles, la prima associazione delle lavoratrici del sesso, chiamata Coyote (acronimo di Call Off Your Old Tired Ethics, tradotto, Cancella la tua vecchia e logora morale) fondata nel 1973 da Margot Saint James e Gail Petherson, due femministe e prostitute votate alla lotta contro le discriminazioni sociali. Nel 1985 si svolge ad Amsterdam il primo congresso nazionale delle prostitute dove viene redatta la prima Carta Internazionale, manifesto e dichiarazione per i diritti delle lavoratrici del sesso. La teoria queer nata in seguito agli studi di genere, gay e lesbici, (di cui Judith Butler è una delle promotrici più conosciute in America, Beatrice Preciado in Francia), vede la prostituzione, la pornografia e il sado-masochismo come legittime e valide espressioni della sessualità umana, diverse per ogni individuo ma basate sul ruolo del potere nella società contemporanea.
In Italia, il femminismo non ha aiutato il movimento delle prostitute. Anzi, le femministe considerano molte donne vittime della prostituzione. In molti casi è così, ma c’è anche chi sceglie di fare questo lavoro in modo libero e indipendente ed è vittima solo delle cattive condizioni in cui lavora e della discriminazione dettata dal sistema sociale in cui vive. Se parliamo di femminismo dobbiamo ricordare come negli anni ’70 i movimenti per l’emancipazione delle donne escludevano le lesbiche, considerate delle pervertite del XX secolo che avrebbero dato una cattiva reputazione alle suffragette, già accusate di voler femminilizzare la società e svilirizzare gli uomini. “Il movimento femminista, dovrebbe unire e includere tutte le donne di ogni tipo, pensiero ed estrazione sociale. La parola “puttana” è un insulto che mortifica e colpisce tutto il genere femminile. Ci può essere rivolto in ogni istante delle nostre vite, limitando la nostra libertà sessuale. Sarebbe opportuno che le femministe, invece di prendere le distanze da noi, se ne riappropriassero con orgoglio, cancellandone l’aspetto stigmatizzante”* (Citazione tratta dal libro.
La prostituzione è sempre stata considerata come ultimo simbolo dell’oppressione femminile. Nessuno pensa mai che l’oppressione è dato dallo sfruttamento e dal potere decisionale del corpo di qualcuno verso un altro individuo. Così come il velo per le donne mussulmane viene visto da molte occidentali come una privazione, al contrario rappresenta un simbolo di resistenza e affermazione della loro identità, anche la prostituzione può essere vissuta come emancipazione per non subire un padrone. Questo discorso può essere allargato a qualsiasi ambito lavorativo: “Nessuno accusa gli impiegati del MacDonald di essere responsabili della malnutrizione. Nessuno li accusa di difendere il sistema capitalista. Noi siamo un gruppo di oppresse da cui ci si aspetta di smettere di fare quel che si fa e a cui si vuole impedire di autorganizzarsi”*, sostengono le scrittrici.
Bisogna partire dal fatto che abolire la prostituzione non è possibile: finché il sesso sarà visto e vissuto come un tabù, le persone continueranno a ricercarlo costantemente online, nelle chat, nella visione di filmini pornografici e nella realtà, attraverso il pagamento di prostitute/i che soddisfino le loro esigenze, voglie, desideri e perversioni. Grisélidis Réal diceva: “Ci detestano a tal punto perché noi conosciamo gli uomini che vengono da noi meglio di chiunque altro, spesso meglio anche delle loro stesse mogli. Capiamo i loro desideri, le loro fantasie e in alcuni casi anche il disgusto che provano per la propria sessualità”.
Chi sceglie la prostituzione liberamente, senza sfruttamento non è una vittima. Essere una puttana significa essere femminista. Significa praticare e concepire la propria sessualità fuori dagli schemi. L’insulto “puttana” non riguarda solo le prostitute, ma tutte le donne che fuoriescono dagli stereotipi comportamentali indetti dal patriarcato, scegliendo di vestirsi come meglio credono e andare a letto con chi vogliono. Lottare contro la puttanofobia significa lottare contro il sessismo di fondo, lottare per poter essere, vestirsi, comportarsi liberamente contro la paura di essere aggredite. L’isolamento sociale è l’aspetto comune a tutte le minoranze sessuali. L’insulto è un mezzo per assegnare gli individui a un genere, a un ruolo sessuale. Così per le donne la parola “puttana” o “troia” , per gli uomini è “frocio”. La sessualità è legata al genere e si traduce in rapporti di potere. La presenza di denaro diventa un fattore di consolidamento o rovesciamento di tale potere. Dal punto di vista simbolico il penetrante viene valorizzato, mentre il penetrato è colui che subisce l’azione. Su questo viene costruita la sessualità come idea di dono a vantaggio dell’altro e del piacere maschile sacrificando sé stessi. L’insulto “puttana” serve a dividere le “donne rispettabili” (quelle dedite al marito, all’eterosessualità, alla riproduzione) dalle altre. Stessa cosa per il termine “frocio” che distingue gli “uomini veri” dagli omosessuali, rilegando le loro azioni come non degne e virili. Perché dover regolamentare il comportamento delle donne quando è il comportamento degli uomini a creare problemi? Perché attaccare le donne quando sono gli uomini la causa del sessismo?
Secondo Thierry e Maitresse Nikita “È necessario riappropriarsi dell’insulto puttana e usarlo come un vanto perché esso rappresenta la nostra libertà di voler e poter andare a letto con chi vogliamo senza essere giudicate. Provare piacere nel fingere di essere un oggetto sessuale agli occhi di alcuni uomini, fa parte del gioco erotico che noi prostitute padroneggiamo alla perfezione, ma che risulta inconcepibile per molti. […] Non siamo corpi privi di intelligenza. Rivendichiamo il nostro ruolo di attrici come in qualunque attività di servizio e di relazione, proponendo servizi sessuali ai clienti. Prostituirsi e disporre liberamente del proprio corpo, seguendo una filosofia femminista, non vuol dire essere una troia ninfomane, una donna disturbata e non si deve giustificare lo stupro, le umiliazioni e le molestie che vengono inflitte da parte dei clienti e polizia”.
La “gente per bene” è disposta a guardare insieme ai propri figli, donne nude alla televisione o sui cartelloni pubblicitari, ma la presenza di prostitute per la strada risulta fastidiosa e talvolta insopportabile. Le puttane rappresentano il degrado femminile, tutto ciò per cui le femministe si battono cercando di raggiungere una parità di genere. Ma chi l’ha detto che se una donna va a letto con più uomini è degradante? Perché un uomo può farlo ed uscire come un eroe, un dongiovanni mentre se lo fa il “gentil sesso” risulta negativo? Nessuno. È solo lo stigma sociale che lo impone. E lo impone in varie categorie tra cui il modo di comportarsi e l’aspetto fisico. L’idea della “donna perbene” prevede un modo di vestire adeguato. Se indossa abiti succinti viene etichettata e la sua figura diventa stigmatizzante, perché simbolicamente richiama alle prostitute. Nel libro “Ritratto a tinte forti” di Carla Corso prostituta italiana che insieme a Pia Covre fondò il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute in Italia nel 1982, c’è un aneddoto simpatico e curioso che evidenzia bene questo stereotipo. Quando fondarono il Comitato a Pordenone andarono in giro per l’Italia a promuoverlo, grazia anche all’appoggio di poche femministe tra cui Roberta Tatafiore. “I giornalisti non avevano mai visto dal vivo delle puttane. Non erano interessate realmente ai nostri diritti ma solo al folklore e alla novità di vedere le puttane dal vivo. Appena arrivate, fotografarono subito le femministe che erano vestite in maniera vistosa con minigonne e colori accesi. Io e Pia andammo in tailleur nero molto sobrio e passammo inosservate. Solo dopo, durante l’intervista, capirono che eravamo noi le prostitute e non le donne fotografate prima. È stato molto divertente!”. Il vestirsi diventa un gioco che spesso utilizzano per creare ambiguità: “Il gioco è importante e spesso io e Pia ci mettiamo a giocare. Un giorno andammo a lavoro col tailleur. Si fermò un’auto della polizia e ci chiese se avevamo un guasto alla macchina. E sai perché? Perché non eravamo vestite da puttane!”.
La libertà di scelta su cosa indossare per piacere a sé stesse viene negata dalla società. Se mi metto in tiro è perché devo accalappiare un uomo. Per questo si associa l’idea che se una ragazza viene stuprata “se l’è cercata”, “è stata lei a provocare”. Se quindi, la violenza verso una donna spesso viene giustificata, quella verso le prostitute è legittimata.
Sono necessarie maggiori tutele. La regolamentazione del lavoro sessuale deve avvenire nell’interesse delle lavoratrici del sesso e non a profitto di papponi padroni. La riapertura delle case chiuse deve essere autogestita dalle lavoratrici stesse creando uno statuto di lavoratrici indipendenti. Sono necessari controlli sanitari, la distribuzione di preservativi per tutelarsi dalle malattie trasmissibili, creando una vera e propria educazione sessuale per le prostitute, ma anche per i clienti. “Noi non vendiamo il nostro corpo. Lo utilizziamo per garantire una prestazione sessuale. Quello che vendiamo in realtà è il piacere sessuale che procuriamo in gran parte con il nostro corpo, ma grazie soprattutto al nostro cervello”*.
Carla, Pia, e i racconti di molte prostitute italiane e straniere narrano un mondo creato e pensato a misura d’uomo, dove le donne sono viste come oggetti di desiderio al loro servizio. Quella delle prostitute è una lotta dura e difficile che può essere allargato ad una lunga riflessione sul ruolo della donna nella società e sul suo essere chiamata “puttana” quando non rientra nei canoni e comportamenti maschili prestabiliti. Un vero controsenso nel momento in cui lo stesso uomo giudica una donna per i suoi atteggiamenti estroversi ma poi la ricerca per esprimere sé stesso nella sfera sessuale. Infatti, soprattutto nelle coppie sposate da anni, dove il sesso perde di interesse, fino a diventare piatto o talvolta a scomparire, vi è la ricerca di emozioni e soddisfazioni fuori dal cerchio familiare: il sesso a pagamento fuori dalle mura domestiche per soddisfare i propri desideri e mettere in pratica le proprie voglie personali con qualcuno che non ti giudicherà per la richiesta fatta, ma saprà soddisfarti al meglio. E questo vale sia per uomini che per donne, perché anche se meno conosciuta, esiste la prostituzione maschile, con costi maggiori rispetto a quella femminile. Sarà forse, perché, ancora una volta è necessario mantenere il “decoro” delle donne?
*Le citazioni scritte nell’articolo sono tratte dal libro “Fiere di Essere Puttane” di Nikita Maîtresse e Thierry Schaffauser.
APPROFONDIMENTI:
“Fiere di essere puttane” di Nikita Maîtresse, Thierry Schaffauser, Editore DeriveApprodi, 2009
“Né puttane né sottomesse” (Ni putes ni soumises) di Fadela Amara, NonSoloParole Edizioni, 2007
“Puttane. Il seme del male” di Lilith, Editore GDS, 2016
“Ritratto a tinte forti” di Carla Corso, Giunti editore, 2002
“Quanto vuoi? Clienti e prostitute si raccontano” di Carla Corso, Edizione Giunti, 1998
“Prostituzione. Diritto e società” di Roberta Sapio, Contrasti 6, 2007
WEB
Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute: http://www.lucciole.org/
Alice Arduino - Talco Web
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