Autore
Davide Amerio
Di Davide Amerio per comedonchischiotte.org
Ci risiamo: altra consultazione, altro giro di giostra, altra retorica della vittoria. I numeri sono numeri. Vince il centro destra. Il Pd esulta e lancia messaggi, per niente velati, ai compagni di avventura (o sventura), tra i quali quel tal Giuseppe Conte che si impuntò nel pretendere l’esclusione, nel fantomatico “campo largo”, di Matteo Renzi, e della sua manciata di voti, che forse avrebbero fatto la differenza.
Forse. Anche perché l’apporto dei “centristi” alla Calenda non pare aver inciso un granché. Tutta da interpretare l’ulteriore perdita dei voti del M5S: colpa delle posizioni di Conte verso Renzi? Oppure ha influito lo scontro tra Conte e Grillo? Oppure i simpatizzanti del movimento non hanno digerito l’alleanza con il PD?
Non manca la “preoccupazione” per il poderoso peso dell’astensione (ma davvero?). Anche qui si consuma il solito copione: manifesto disappunto, dispiacere, per quanti non hanno sentito la necessità di consumare il rito democratico delle urne. Ma giusto il lasso di tempo in cui ci si incupisce e ci si indigna in Italia: più o meno la durata di un orgasmo (maschile).
Già dell’astensione non si parla più: da molto tempo nel paese chi dissente, e ritiene inaccettabile il basso livello cui è giunta la politica, discute e si confronta sulla efficacia del rifiuto di recarsi alle urne. L’evidenza dei numeri è impietosa: prevale un sentimento diffuso di inutilità del proprio voto, un disgusto per l’assenza di una “normale” coerenza tra le promesse profuse in campagna elettorale e i comportamenti parlamentari.
L’astensione ha molteplici sfaccettature: può essere legittima protesta per chi sente di non aver altri strumenti di difesa, di ribellione verso un sistema opprimente. O può essere semplice indifferenza; Il “virus” dell’ipocrisia, ha infettato tanto la destra quanto la sinistra. Quello che dovrebbe essere un segnale forte inviato alla classe dirigente, viene, di fatto, impunemente ignorato. Così il cittadino medio vede nel “politico” solamente più un mercenario interessato a occupare una poltrona: un burattino nelle mani di poteri “altri”, oscuri, non dichiarati, incoffessabili.
Le rivoluzioni, storicamente, han sempre visto una “classe” sociale come promotrice. Insoddisfatti, o contestatori, oppure oppositori, di una data situazione: nella maggioranza dei casi di natura economica. Da lì comincia un processo, dapprima intellettuale, sino a giungere al progetto politico, alla lotta per il cambiamento. La questione reddituale è sempre lo stimolo primario, per coloro che “soffrono” economicamente, o temono di perdere benefici e diritti acquisiti.
Le classi “borghesi” han certamente lottato per sé, ma anche per tutti gli altri, in un momento storico in cui “essere borghesi” era l’ambizione di ciascun cittadino (o suddito). E lo Stato doveva preoccuparsi di far transitare gli individui, con l’ausilio “dell’ascensore sociale”, dal basso proletariato verso l’alto piano della borghesia. Ma la rivoluzione borghese finisce per tradire se stessa allor quando, come sottolineava P.P. Pasolini, il borghese non riesce a concepire “altro” da sé, e vuole trasformare il mondo a propria immagine e somiglianza.
Gli anni ’60 e ’70 han visto fiorire lotte sociali per conquistare Diritti e maggiore retribuzioni per i lavoratori. Le crisi petrolifere hanno posto fine allo sviluppo economico e sociale dei “Trenta gloriosi”, riportando in auge le teorie economiche neoclassiche, con i suoi mantra sullo Stato cattivo e sprecone, avverso al privato virtuoso ed efficiente. Comunque gli anni ’80 e parzialmente ‘90, hanno diffuso un benessere materiale indiscutibile. E sulle lotte operaie calò inesorabile la “marcia dei quarantamila” quadri della Fiat.
Il Filosofo Nicola Donti, in uno dei suoi acutissimi interventi riprodotti sul web, parlando di cambiamento, di crescita personale, di mutamenti della società, sottolinea: ma quando io, a casa mia, ho il televisore a 50 pollici, l’abbonamento a tre canali per vedere film, cartoni, calcio, spettacoli di varietà discutibili, più tutti gli altri comfort… ma chi me lo fa fare di impegnarmi nella rivoluzione?!?
Qui lambiamo uno degli aspetti “pratici” (e psicologici) del problema “astensione”. La società che fonda il proprio benessere sull’individualismo spinto, nella quale l’irrazionalità del “mercato” promuove (attraverso una pubblicità martellante) il “paese dei balocchi”, in cui la tua unica preoccupazione è di “avere”, e non di “essere”, per poter esprimere sempre di più con forza la tua megalotimia (il sentirsi “superiore” agli altri, ovvero il contrario della isotimia democratica), difficilmente può produrre dei “rivoluzionari”.
Annullata così la “tensione morale” verso il rinnovamento, il cambiamento, il miglioramento della comunità – affogata questa nella melma del consumismo personale, dell’ambizione a-morale -, cosa resta, se non la visione limitata del proprio ombelico?
Il pensiero economico dominante è fossilizzato sulla crescita del PIL, con la messa in stato d’accusa del debito pubblico (mentre promuove il debito privato), incurante della ripartizione sociale della ricchezza, indifferente alla povertà (assoluta, relativa, potenziale), considerata come un male inevitabile, o frutto di colpe individuali (“la società non esiste…” sentenziava la Thatcher!): un prezzo da pagare per agevolare il benessere dei più.
Dove sono quei borghesi intellettuali che promuovevano il dibattito sociale, politico, economico, nutrimento fondamentale per costruire visioni del futuro, che non si accontentavano di un esterno presente? Non possiamo certo confonderli con il ciarpame mediatico salottiero, proposto quotidianamente dalla TV degli ultimi 30 anni, seppur con le dovute nobili (e rare) eccezioni.
All’assenza di una visione intellettuale, segue, di conseguenza, quella progettuale. La sinistra che vuol essere realmente alternativa alla destra… quale progetto di cambiamento individua? Dove sono i programmi realmente alternativi alla destra? Quelli che sanno dire i NO!, belli e corposi, alla sudditanza americana, alla Nato, a una Unione Europea neoliberista, a una idea di occidente che più nessuno vede come riferimento? Quelli che sanno riconoscere il linguaggio orwelliano che si appella alla Pace con la bocca, mentre foraggia di armi i contendenti, riempiendosi il portafoglio di denaro sporco del sangue dei civili bombardati dalle bombe “intelligenti”?
In quali cassetti si nascondono quei programmi che puntano al ribaltamento di un sistema economico e finanziario incancrenito sulle disuguaglianze, sull’austerità (espansiva! Sic!), e sulla precarietà? Un modello che relativizza la vita di ciascuno, rendendola potenzialmente “povera” al mutare della situazione finanziaria globale, oppure aziendale, o bancaria?
E dove sono i “leader” veri, autentici, quelli che non guardano al proprio ombelico, o solo a quello dei propri sostenitori, ma sanno cogliere la visione d’insieme della pluralità degli “ombelichi”, della inevitabile poliarchia sociale, per costruire un progetto comunitario spendibile e condivisibile?
Il Deserto dei Tartari era più popolato.
In mezzo alla sabbia rimangono, come velenosi scorpioni in agguato, i cupi interessi individualistici, spettri di una collettività che non si vergogna più di garantire impunità (anche elettorale) al reo di malefatte, di complicità, di interessi privati, menzogne e tradimenti, che prevaricano quelli della comunità tutta.
L’astensione non è un solamente numero: è tante cose, è legittima e consapevole protesta, ma è anche l’identità di una società che ha smarrito se stessa tra le pieghe della propria opulenza ed indifferenza diffusa. Dove gli esclusi, i “perdenti”, rimangono marchiati con l’emblema scarlatto dell’insuccesso, in una visione sociale americanizzata, drogata di neoliberismo, di darwinismo sociale, ben lontana dalla filosofia impressa tra le righe della nostra Costituzione.
Davide Amerio
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