Autore
Davide Amerio
di Davide Amerio.
Da chi devono essere gestiti i beni dello Stato? Dal potere pubblico o devono essere affidati ai privati? Con la triste vicenda di Genova, e le implicazioni politiche, e giuridiche, che riguardano il gestore Autostrade, torna in auge la diatriba tra le due posizioni.
Una questione che viene da lontano, sino dalla formazione della nostra Costituzione, la quale mescola elementi liberali e socialisti, laddove i padri costituenti hanno si riconosciuto l’importanza e il ruolo del privato, ma non hanno mai perso la bussola verso i fondamentali interessi dello Stato e quindi dei cittadini.
La posizione favorevole alla gestione in mano privata (come concessione, gestione, o cessione parziale o totale), è figlia di un principio liberista e di una “verità” storica italiana. Il principio ci dice che un privato, in quanto interessato a produrre profitto, ha maggior cura e interessi nel far in modo che la gestione del bene sia efficiente e produca vantaggi economici. La “verità” storica, è l’amara constatazione – di cui hanno potuto avvantaggiarsi i liberal nel sostenere la loro tesi,- del pessimo modo in cui sono stati gestiti alcuni beni pubblici italiani affidati con procedure squisitamente politiche.
Alla luce non solo dei recenti fatti drammatici, ma della storia delle “privatizzazioni” italiane, possiamo davvero dire che la gestione privata degli assets pubblici (Energia, Comunicazioni, Trasporti) è stata davvero utile per il paese? L’ingresso nel mercato delle aziende statali in questi settori ha davvero portato benefici ai cittadini?
Di sicuro ha portato cospicui benefici agli amministratori delegati delle aziende in questione. Quanto al resto è materia tutta opinabile. Il giochino della concorrenza spesso si tramuta, per l’utente/cittadino, in un slalom tra una marea di offerte e di proposte commerciali quasi simili, ma sopratutto che, alla fine, non si traducono in benefici effettivi per il portafoglio.
La domanda su chi sia migliore nella gestione degli assets, parrebbe rimanere insoluta, e questione destinata ad alimentare un dibattito eterno. Sono convinto, da molti anni, che ciò accada perché non si pone attenzione a un’altra domanda, molto scomoda, cui il paese ha evitato di rispondere.
Ammettiamo l’ipotesi in cui il “potere pubblico” sia dichiaratamente incapace di gestire al meglio un’azienda pubblica. Per quale motivo ciò accade? Ragionevolmente per incompetenza, per curare interessi altri rispetto a quelli dei cittadini, per fragilità corruttiva, per pratiche di poltronificio politico, etc etc.
Domanda: com’è possibile ragionevolmente pensare che un potere siffatto (quindi manifestamente inadeguato per la gestione un asset), possa essere in grado di stabilire leggi, regolamenti, contratti, attribuzioni, al fine di ottenere che sia il miglior privato a gestire quel bene? Ovvero: potrà mai essere un potere politico incapace e inaffidabile a essere garante del miglior vantaggio per i cittadini?
La risposta è nelle cronache giudiziarie, nelle bollette, nei disastri di questi giorni (nonché anni).
C’è una evidente contraddizione logica nel presumere che una politica incapace di per sé a gestire per il meglio un bene pubblico, possa essere affidabile nelle decisioni di assegnazione di quel bene nelle mani private. Questo è l’errore in cui è incappato il paese, all’interno delle morse ideologiche e partitocratiche.
Se non pretendiamo, molto seriamente, che la politica risponda delle proprie scelte, e non di meno, che sia libera da vincoli e sudditanze affaristiche con i privati, e complicità con organismi criminali, a pagare -in termini finanziari, ma anche con la salute o la vita,- sarà sempre e solo il cittadino.
In questo paese abbiamo assunto la corruzione come un male endemico che non può essere debellato, e allora tanto vale conviverci. È un grave errore. La corruzione non potrà mai essere debellata completamente, ma deve essere combattuta inesorabilmente, e chi viene “beccato” deve essere cacciato dallo Stato. Negli ultimi 30 anni è accaduto esattamente il contrario, nel paese dove la prescrizione ha sostituito la non colpevolezza, e chi ha soldi per un buon avvocato ha ottime probabilità di farla franca. Questo è il vero spread che ci differenzia da altri paesi europei.
Non ci si può lamentare degli interventi della magistratura se non si segue il principio che illustrò Paolo Borsellino: non è sufficiente che un politico non abbia commesso esplicitamente un reato, il suo comportamento deve essere esaminato alla luce delle ragioni di opportunità politica, per valutare effettivamente la sua taratura morale.
(D.A. 23.08.18)
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Davide Amerio
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