Autore
Edoardo Di Mauro
Antonio Carena, scomparso dopo una vita lunga e felice caratterizzata da una straordinaria intensità esistenziale corroborata fa forti dosi di dissacrante ironia e da una costante apertura verso i giovani, è stato uno dei più significativi artisti piemontesi ed italiani del secondo dopoguerra. Nato e sempre vissuto a Rivoli nel dopoguerra frequenta i corsi di pittura all’Accademia Albertina tenuti da Enrico Paulucci conseguendo il premio “Dino Uberti” in qualità di miglior allievo, quindi vince a Napoli il premio “Cattedra di Pittura” al concorso nazionale delle Accademie. Professore di Discipline Pittoriche al Liceo Artistico Statale “Renato Cottini” di Torino fino al 1994, in seguito dal 1997 al 2001 è Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Cuneo, dove insegnerà fino a poco prima della scomparsa. La prima parte della sua lunga carriera, dal ’50 al ’60, lo vede tra i protagonisti della stagione dell’Informale italiano. A partire dal 1960 elabora la poetica del “cielo”, quella che lo renderà universalmente noto, che sviluppa sia in chiave bidimensionale che oggettuale, diventando a pieno titolo uno dei più significativi esponenti della Pop italiana, con numerose velature, specie riguardo l’uso della scrittura, di impianto concettuale. Di seguito si riporta la scheda critica redatta da Franco Torriani per la seconda edizione della Biennale d’Arte Contemporanea del Piemonte, che vide Carena tra i protagonisti, significativa rispetto all’analisi della sua pittura : “Nella prima metà degli anni ’60, Antonio Carena usciva con le “Carrozzerie - parts” e le “Pellicole”, lamiere in cui si rifletteva l’oggetto della pittura. Furono dunque oggetti/soggetti mutevoli, pre - concettuali, opere in odore di annunciazione di era post-industriale. Carena le produsse in una fase analitica acuta della nostra società che tuttavia, complici gli innesti di orientalismo non islamico, assaporava la nostalgia levigata della sintesi. Più che nel paese di Alice, quelle superfici alla nitro speculare indicavano la consapevolezza matura di due grosse realtà artificiali, l’arte e la tecnica, e dei loro risvolti estetici. Torino, sospesa tra vocazione storica alla normalizzazione e apertura verso l’esterno era, come è oggi, l’ambiente dell’impatto inevitabile col barocco e i battilastra, con l’architettura e gli stilisti, i giochi d’occhio e la linea pura e fisica delle arti applicate. Il passaggio, allora obbligato, per terra, acqua, aria e fuoco, Carena lo risolse privilegiando il luogo dell’aria per antonomasia : il cielo. Fu un semplice abbassamento, alla moda fiamminga antica abituata alle grandi pianure, dell’orizzonte terracqueo a favore di un cielo ampio ed in continuo movimento, quasi il risultato istantaneo di una macchina fotografica alzata dall’operatore. Il bello tecnico dell’estetica di quegli anni si raggiungeva, leggi il gabbiano Livingston, con determinazione e poesia. Chiedersi se quelli di Carena siano cieli o meno è il problema, più apparente che ambiguo, della realtà della rappresentazione (anche) pittorica posto, tra corsi e ricorsi, dai greci a Magritte. Nella stagione odierna dell’arte, il doppio del cielo ne esige la dimensione pittorica, finto affresco e finta cornice. I bagliori e riverberi non sono più quelli naturali, ma quelli dipinti e il riferimento può essere l’immagine digitale con i suoi colori nuovi e i suoi tremolii familiari. Appropriarsi del cielo, il luogo dell’aria e della luce, segnò, da Rembrandt a De La Tour, la conquista dello spazio di volo degli angeli. Si tratta di lembi, squarci tra le grate, atmosfere di interni con porte e finestre, è fra cieli, volte e candelabri che si giocò, anche in pittura, la partita fra luce divina e luce terrena. E la partita, dice Antonio Carena, non è affatto chiusa.”
Nella lunghissima carriera espositiva di Antonio Carena, iniziata nel 1949 fino a poco prima dell’improvvisa ed inaspettata scomparsa si segnalano le personali presso la Galleria Notizie di Luciano Pistoi, le Gallerie Sperone, il Punto, La Bussola, Martano, Il Fauno, Marin, Caruso, Nuova Gissi di Torino, Rotta di Genova, L’Ariete, Blu, Pontaccio, Anselmino di Milano, Capricorno di Venezia, Peccolo di Livorno, le antologiche a Palazzo Lomellini a Carmagnola, Palazzo Graneri a Torino, Casa del Conte Verde a Rivoli. Tra le innumerevoli collettive oltre alla Quadriennale di Roma importanti partecipazioni alla Galleria d’Arte Moderna di Torino ed al Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli. Ampia la bibliografia dove si segnalano interventi di Galvano, Pistoi, Carluccio, Guasco, Scroppo, Tapiè, Argan, Arcangeli, Crispolti, Calvesi, De Micheli, Fossati, Vescovo, Poli, Mulatero, Di Mauro.
Attivo anche sul fronte dell’installazione artistica permanente in spazi pubblici e prestigiosi edifici privati sue opere sono collocate al Castello di Rivoli, Parigi, Hotel de La Ville, Direzione Fiat Torino, Accademia Albertina, MACAM Maglione, MAU Museo d’Arte Urbana di Torino, Collegno, Sala delle Arti, Torino, Villa Corte Bonvicino, Ginevra, Direzione Martini & Rossi, Rivoli, via Rombo, Banna Biblioteca Palazzo Marchesi Spinola.
Edoardo Di Mauro
Edoardo Di Mauro
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