Filippo di Sambuy è un autore le cui radici si rinvengono nella fase post concettuale dei primi anni ’80, caratterizzata dal ritorno alla pittura. Il suo è stato, ed è, un percorso cosmopolita, anche se ha mantenuto sempre radici a Torino, dove spesso ha collaborato ed esposto con artisti presenti in questa mostra, come Astore, Massaioli e Ragalzi. Con Sambuy abbiamo un esempio tra i più chiari e coerenti di una pratica dell’arte che intende distaccarsi dalla contingenza con il reale per rifugiarsi in una dimensione “altra”. Ciò non significa disimpegno o formalismo fine a stesso, semmai la volontà di evidenziare la permanenza necessaria della dimensione spirituale dell’arte. Il lavoro dell’artista si misura spesso, infatti, con la dimensione del presente, con il tramite dell’installazione ambientale e della performance. A tal proposito ho piacere di ricordare tre momenti importanti di collaborazione con Filippo di Sambuy. Il primo risale al 1997, con la performance, svoltasi a Roma ed a Torino, “Tableau Vivant”, ispirata al quadro “L’Atelier” di Courbet, dove l’artista ripercorreva significativi momenti della sua biografia personale. Per passare poi, nel 1999, a “Sabaudia, piazza ideale”, allestimento realizzato per il sessantacinquesimo dalla fondazione della città laziale, esempio indiscusso di architettura razionalista, dove l’artista disseminò l’ambiente di bandiere decorate con il suo stile raffinato e simbolico, a costituire un vero e proprio “richiamo” all’arte. Senza dimenticare l’installazione realizzata nel 2001 per il Museo d’Arte Urbana, intitolata “Costellazione dell’Arcangelo distratto”, opera realizzata in due parti distinte, seguendo il percorso edificatorio di uno dei rari palazzi di nuova costruzione del Borgo Campidoglio, ad oggi una delle attrazioni del MAU.
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