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di Fabrizio Bertolami.
Si sono concluse da poco le Olimpiadi di Rio de Janeiro ed abbiamo ancora negli occhi le immagini delle cerimonie di premiazione e delle gare. Abbiamo tutti gioito e sofferto con con gli atleti italiani e alcuni di noi hanno seguito le sorti di atleti stranieri anche per un senso di simpatia verso altre Nazioni. Perché, sebbene le gare si svolgano tra atleti in prima persona, le Olimpiadi sono ancora una competizione tra squadre nazionali. Il Comitato Olimpico Internazionale non riconosce ufficialmente il medagliere per Nazioni ma è quello che per tutti conta per capire chi ha “vinto” le Olimpiadi. Durante la Guerra Fredda la competizione serrata tra USA e URSS ha più volte visto i campi di gara olimpici, e il medagliere, quali terreno di scontro e di rivincite. Oggi sembra essere il turno della Cina ma l’obiettivo è lo stesso: guadagnare prestigio e visibilità internazionale.
Ad oltre cinquecento anni dalla nascita dell’era moderna e del concetto di Stato, le Nazioni continuano ad essere il centro delle Relazioni Internazionali, ad ogni livello. Potrebbe sembrare una difesa appassionata del concetto di Nazionalismo ma è in realtà una fredda presa d’atto. Nazioni in competizione alle Olimpiadi, Nazioni che combattono in Siria e Libia, Nazioni che decidono di lasciare un’unione di Nazioni come è l’UE. Sono i confini nazionali ad essere interessati dai fenomeni di pressione migratoria, sono i bilanci nazionali a soffrire delle crisi economiche, sono nazionali le risposte al terrorismo internazionali. Anche l’Unione Europea è infatti un’associazione volontaria, il caso inglese lo dimostra, ed è fondata sul concetto di interesse nazionale. Dopotutto esiste ancora un Campionato Europeo di calcio in cui le squadre nazionali si affrontano senza neppure che la bandiera europea appaia sulle loro magliette. Gli Stati sono dovuti intervenire per arginare gli effetti della crisi americana scoppiata nel 2008 e del tutto attribuibili al settore bancario privato. In Siria si sta combattendo per mantenere unita una Nazione, in Libia una Nazione si sta dividendo in due. In Europa, l’afflusso di un numero enorme di immigrati mette sotto pressione i sistemi di welfare nazionali, e quindi i bilanci, come anche la munifica Germania ha dovuto ammettere. Sebbene molti concetti mondialisti e transnazionali vengano veicolati quotidianamente attraverso tutti i media, è la rappresentazione attraverso riferimenti locali quella a dare maggior senso alle vite di ognuno. Molte ricerche sociologiche in questi anni hanno dimostrato come con l’avanzare della globalizzazione si sia contemporaneamente verificato un ritorno di interesse verso le comunità locali, per i loro prodotti e le loro specificità.
Espressioni come “Made in Italy” o “Made in Germany” sono il portato di una storia che è nazionale e non è replicabile, anche se può essere sfidata dal “Made in Korea” o dal “Made in China” senza averne lo stesso fascino. Le Nazioni si sono formate storicamente, per sedimentazione delle tradizioni, per il permanere di una lingua e di una coscienza comune, dando luogo ad una cultura peculiare, e sebbene questi elementi siano stati sfruttati in senso radicale ciò è potuto avvenire perché sono sentimenti radicati e fondano i valori e molto del senso che diamo alla nostra realtà quotidiana. Le pressioni della Commissione Europea su Nazioni est europee, come Ungheria e Polonia in tema di finanze, di immigrazione e di intromissione politica hanno portato al governo partiti di stampo tradizionalista. In quelle Nazioni il senso di appartenenza nazionale è stato soffocato nell’epoca degli Imperi e nel successivo periodo sovietico e la necessità di affermazione della propria esistenza è quindi più forte. Parimenti nell’Europa comunitaria, la crescita dei partiti detti “antisistema” si accompagna ad una rinascita del sentimento nazionale. E’ così in Olanda, in Germania, in Inghilterra ed in Francia.
In Italia lo stesso termine “Nazione” è bandito e inutilizzabile, pena la stigmatizzazione e l’attribuzione di una qualche etichetta come “destrorso”, “nazionalista” o addirittura “fascista”. Al suo posto viene utilizzato il termine “paese”, forse a causa di una superficiale traduzione di “Country” utilizzato in ambito anglosassone ma con un’accezione decisamente diversa.
Ciò però non vuol dire che media e politici non facciano riferimento all’orgoglio nazionale presente ancora, giustamente, a livello popolare ma ciò avviene solamente quando dall’estero qualcuno fa notare qualche nostra mancanza o per giustificare qualche battaglia del governo contro i mulini a vento europei. In tutti gli altri casi l’Italia non è una Nazione, non deve avere coscienza di sé in quanto entità storica e culturale, è solo un “paese”, un “territorio”, “un’espressione geografica” come ebbe a dire secoli fa il cancelliere austriaco Metternich. Ma i suoi confini esistono e sono fisici, come le Alpi e il mare che circonda la penisola, sono psicologici, come quelli che i cittadini si danno per definirsi rispetto agli stranieri (interni ed esterni), sono culturali, come quelli che tutto il mondo ci riconosce quando ci premia per il nostro cinema, la nostra tecnologia e la nostra arte.
I confini della Nazione sono stati conquistati a spese di enormi fatiche e milioni di morti durante questi 150 anni. E’ però vero che è stato difficile imporre un concetto di nazionalità ad una popolazione, come quella italiana, che per secoli ha vissuto rinchiusa in piccoli regni, minuscoli principati, ducati e granducati, regni più o meno controllati da potenze straniere. Così come sta accadendo per le Nazioni est europee citate in precedenza, anche in Italia la politica ha fatto leva sul sentimento nazionale nel periodo 1870-1945. Poi, avendo perso malamente la Seconda Guerra Mondiale conclusasi con una resa incondizionata, ha dovuto rinunciare alla propria autonomia politica, militare e a partire dal 1992 anche economica.
Resta il fatto che ogni Stato ha il potere di imporre le proprie norme solo all’interno dei propri confini, che quindi devono essere certi, garantisce i diritti ai propri cittadini-elettori e può farlo solo all’interno dei propri confini (ricordiamo su tutti il caso dei marò), impone le tasse ai singoli e alle aziende sul proprio territorio, tanto che questi possono decidere di espatriare per cercare condizioni economiche più favorevoli in Nazioni straniere. Salvo poi sentirsi indicare come “gli italiani” una volta trasferitisi.
La presenza dell’Unione Europea, unico esempio nel mondo di cessione quasi totale di sovranità statale, a volte può confondere alcuni circa la permanenza di questi concetti. Se però pensiamo al fatto che non esiste alcuna tassa comune europea, che la Commissione Europea è composta da commissari designati dai singoli governi, che le decisioni importanti a livello continentale vengono prese in consessi multilaterali partecipati sempre e solo dalle stesse Nazioni, Francia, Inghilterra e Germania (e a volte Italia), che le astruse leggi italiane cessano di valere non appena lasciata Ventimiglia o attraversato il Brennero e che l’Inghilterra può decidere di lasciare l’Unione Europea generando il panico a Berlino, Parigi e Roma allora ci rendiamo conto chiaramente che le Nazioni esistono ancora.
E’ possibile mantenere un sano sentimento di appartenenza nazionale senza che si trasformi in sciovinismo o ottuso nazionalismo? Si, è possibile a patto di saper ammettere i propri difetti, cercando però di porvi rimedio e di essere consci dei propri pregi senza scadere nell’autocelebrazione. In definitiva, se stai leggendo questo post in italiano, su un blog italiano e i pensieri che ti genera in testa ti parlano in italiano, allora devi prendere atto che ciò che è scritto sulla carta d’identità è vero: “Nazionalità : Italiana”. Per quanto tempo ancora questo sarà vero lo deciderai tu, creando, parlando, votando e vivendo in questa inimitabile porzione di mondo e sotto questo splendido cielo. Italiano.
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