Autore
Davide Amerio
Un quarantina di anni fa, quando la filosofia neoliberista iperfinanziaria non aveva ancora infettato ogni aspetto della vita economica, sociale e politica, ci sarebbe stata una maggioranza (anche tra i benestanti) che avrebbe bollato l’evento come “pura pacchianeria”. Erano i tempi in cui un “borghese” come Indro Montanelli, di fronte al berlusconismo crescente e ai suoi tirapiedi, non aveva timore di etichettare questi “nuovi arricchiti” come ignoranti e cafoni; accusandoli spesso di mancanza di cultura, etica e rispetto per le istituzioni. Montanelli evidenziava come l’eccessivo potere economico e mediatico di queste nuove figure potesse corrompere la politica e la società, alterando i valori tradizionali, costituendo una minaccia all’integrità morale e culturale del paese.
Com’è andata a finire lo sappiamo, le triste cronache giornaliere della politica e dell’economia ce lo ricordano. C’è quindi chi ha accolto con estremo favore questa “occupazione” di una intera città a suon di milioni. Non sono mancati, tra i sostenitori, coloro che hanno bollato le critiche come mosse da “invidia sociale”, e altri che, con eguale sommo sprezzo del ridicolo, hanno definito il matrimonio un’utile “vetrina” per Venezia, una opportunità per farla conoscere a livello internazionale.
Amazon, e i suoi fatturati, sono in linea con i fenomeni della cosiddetta Gig Economy che scaturisce dalle viscere del Web. La produzione di un nuovo prodotto, così come l’implementazione di un servizio, che accolgano il favore del pubblico, se forniti attraverso la rete moltiplicano in maniera esponenziale la possibilità di realizzare fatturati esorbitanti. Merito indubbio di chi le idee imprenditoriali le partorisce e le mette in pratica.
Nella logica neoliberista, di stampo americano, chi ha i soldi li ha per merito; addirittura (in una apoteosi religiosa) c’è chi considera i ricchi come persone amate in particolar modo da Dio; se non lo sei, o non lo sei diventato, è certo che Dio non ti ama. Concetto che da noi fu poi volgarizzato nella famosa frase di Berlusconi: “sono stato unto dal Signore”.
Eppure lo stesso Robert Nozick, nel suo celebre libro “Anarchia, Stato e Utopia”, nel quale illustrava le ragioni a giustificazione della filosofia liberista, poneva una certa attenzione alle origini dell’accumulo della ricchezza: domandandosi se questa fosse frutto di una attività legittima oppure no. Ma per i liberisti qualsiasi accumulo di capitale, indipendentemente dalle sue origine, pare essere legittimo.
In Italia Marco Travaglio e Elio Veltri pubblicarono “L’odore dei soldi” aprendo il vaso di Pandora sulle origini equivoche del denaro di Berlusconi, ma ciò non valse a fermarne l’ascesa.
A questa logica esasperata del “merito” appartiene il concetto del Trickle-down in ambito economico. Teoria ribadita con convinzione da Margaret Thatcher e Ronal Reagan, ai tempi dell’affermazione crescente delle nuove teorie neoliberiste. Secondo questo concetto i ricchi devono diventare sempre più ricchi, affinché la loro ricchezza “sgoccioli” (Trickle-down) giù verso i meno abbienti. La ricchezza come “atto di benevolenza” verso gli inferiori: una tavola bandita per pochi eletti, con i più che, sotto al tavolo, raccattano le briciole.
Nel caso di Venezia la logica dello “sgocciolamento” è sostenuta a tutto campo per giustificare l’imponente celebrazione del matrimonio. Indubbiamente la spesa sostenuta ha avuto una ricaduta sul “territorio”. Ma ci sarebbero alcune domande da porre: dobbiamo davvero “accontentarci” delle briciole di questa ricchezza? La concentrazione di queste ricchezze in poche mani, non rischia di mettere in pericolo le democrazie? Il sempre maggiore divario tra la ricchezza di pochi e la sopravvivenza dei molti trova davvero ragioni nel “merito” di pochi (rispetto ai molti)?
I liberisti, sopratutto quelli de’ noialtri, dimenticano le lezioni di Adam Smith, il padre del liberismo economico: le Tasse vanno pagate in proporzione alla ricchezza accumulata attraverso il lavoro, perché per produrre profitti (e quindi arricchirsi) si usano, sempre e comunque, beni che appartengono alla comunità. Se il pagamento non deve essere eccessivamente oneroso (ma chi lo stabilisce?), indubbiamente deve essere progressivo e, quel denaro raccolto, deve essere impiegato per implementare il progresso e il benessere della nazione tutta.
Pensiero perfettamente in linea con la nostra Costituzione Italiana che promuove la libertà di impresa, parallelamente alla tassazione progressiva dei redditi. Obiettivo delle mega aziende del web, e di molti ricchi, è quella invece di pagare meno tasse possibile, anzi, meglio eluderle del tutto, con la costruzione di società fittizie “vuote”: matrioske di scatole cinesi per far transitare i profitti verso i paradisi fiscali, senza essere toccati dalla tassazione, o concedendo a essa solamente le briciole. Amazon docet!
Sarebbe compito della politica (e qui ci viene da piangere) occuparsi di impedire questi fenomeni, attuando una concreta tassazione progressiva per una equa distribuzione della ricchezza prodotta. Negli ultimi 30 anni, invece, le politiche hanno favorito a dismisura i redditi da Capitale , a discapito dei redditi da Lavoro.
Recentemente su Repubblica.it è apparso un articolo dal titolo “Fateci arricchire, al resto pensiamo noi”, che illustra il pensiero di Sam Altman (capo di OpenAI), secondo il quale non dovremmo preoccuparci. Lui, che si dichiara tecno-capitalista, ci “tranquillizza”: dobbiamo concedere ai ricchi di diventare sempre più ricchi, saranno loro a preoccuparsi della redistribuzione della ricchezza!
Basta crederci.
Torna alla mente Fukuyama che si domandava: per quale motivo un miliardario si deve alzare la mattina per aggiungere soldi al suo già cospicuo capitale? La risposta, secondo Fukuyama, è la megalotimia: quel fenomeno sociologico per il quale una persona si sente “superiore” agli altri e, nel caso dei ricchi, l’accumulo di ricchezza diventa uno status sociale da difendere oltre ogni ragionevole necessità.
La megalotimia si oppone alla isotimia, ovvero al concetto che tutte le persone sono “uguali” nella loro dignità di esseri umani, al di là di ciò che possiedono, delle loro capacità, del conseguimento di risultati. L’isotimia è il fondamento delle società democratiche. La megalotimia quello delle oligarchie aristocratiche.
Il modello americano vorrebbe essere di riferimento per il resto del mondo. Mai come negli ultimi anni esso sembra realizzare proprio l’antitesi delle promesse fondative della sua costituzione (il sogno americano). Gli stessi prodotti hollywoodiani, se guardati con un occhio minimamente critico, illustrano una società asserragliata dalle diseguaglianze, dove la povertà viene nascosta sotto il tappeto.
Non c’è storia che non includa le difficoltà di una famiglia media (anche se possiede un buon reddito) di far fronte a tutte le spese per vivere: dalle assicurazioni per avere l’assistenza sanitaria, alle tasse necessarie per il college dei figli. C’è chi svolge più lavori per tirare avanti. E poi c’è il mondo degli “invisibili”, degli emarginati, ghettizzati, che vivono ai margini delle periferie.
Questo è il modello che hanno in testa i Liberisti. Il “merito” è una finzione allegorica per le masse. Il fallimento maggiore del Liberalismo (di cui il Liberismo è la volgarizzazione economicistica) è proprio sulla attuazione della “meritocrazia”: diversamente dalle sue premesse i suoi epigoni hanno consentito che questa si trasformasse da un criterio per selezionare i “migliori”, in una legge della giungla per favorire gli opportunisti e i senza scrupoli, il cui unico merito è la velocità della lingua che rimbalza da un culo all’altro del potente di turno (la politica docet!).
Obbiettivamente siamo intrappolati: le masse “adorano” l’idea dell’uomo che “si è fatto da sé” e che promette di risolvere tutti i loro problemi. Lui è ricco perché se lo è meritato, e concede le proprie capacità per il bene della nazione (sic!). Certe narrazioni, ripetute pedissequamente attraverso i media, raggiungono il loro scopo. Media che, non per caso, sono di proprietà di personaggi più che facoltosi.
Lontano è il ricordo di imprenditori del calibro di Adriano Olivetti: uomini di principi morali sconosciuti a questi arricchiti; ma ugualmente alle masse assetate delle seducenti narrazioni sui “buoni” ricchi che ci offrono tanti prodotti da consumare in modo compulsivo. Uomini di altra stoffa: che hanno costruito aziende socialmente utili, di alto livello tecnologico, quando ancora gli Americani non si capacitavano di come si costruisse un computer.
Riconosciamo quindi i “meriti” di Bezos e del suo Amazon. Ma consapevoli delle “esternalità negative” che ricadono sulla collettività: come il lavoro sfruttato, le chiusure delle attività locali, e il ritorno mancato delle tasse laddove vengono prodotti i profitti: la dannosità dei paradisi fiscali che sottrae soldi per il wealfare.
Persino negli USA un gruppo di super ricchi ha fondato una associazione (Patriotic Millionaires) per sostenere la necessità di tassare di più i ricchi, non solo al fine di ridurre i divari di ricchezza, ma consapevoli che tali divari nuocciono, sul medio lungo periodo, all’economia stessa (quindi anche ai loro interessi). Qualche riflessione sarebbe pur necessaria in merito, prima di essere facilmente accondiscendenti verso chi ti getta manciate di dollari in faccia.
Non si tratta di “invidia sociale”, come sostengono certi beoti intellettualoidi, bensì consapevolezza che le dinamiche dell’economia stessa richiedono maggior equilibrio nella redistribuzione dei redditi e della ricchezza, affinché il sistema possa funzionare. Non si tratta solamente di una maggior equità sociale.
Non saranno quindi gli “ultra ricchi” a salvarci dalla implosione possibile (e probabile) del neocapitalismo selvaggio, dallo sfruttamento del lavoro, dalla disoccupazione prodotta dalla tecnologia, dalla finanziarizzazione dell’economia che crea volumi di ricchezza non sostenuti da una concreta economia reale.
[Di Davide Amerio per ComeDonChisciotte.org]
10.07.2025
Riferimenti
Adam Smith – La ricchezza delle nazioni
Jimmie Moglie – U.S.A. e Getta
Riccardo Staglianò – Lavoretti (come la Sharing economy ci rende tutti più poveri)
Francis Fukuyama – Identità, la ricerca della dignità e nuovi populismi
Robert Nozick – Anarchia, Stato, Utopia
Marco Travaglio, Elio Feltri – L’odore dei soldi
Franzini, Granaglia, Raitano – Dobbiamo preoccuparci dei ricchi?
Michael J. Sandel – La tirannia del merito
Meryle Secrest – Il caso Olivetti
Mario Pianta – Nove su Dieci (perché stiamo – quasi- tutti peggio di dieci anni fa)
Davide Amerio
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