Autore
Davide Amerio
Negli anni ‘80 noi, “diversamente giovani”, abbiamo vissuto l’evoluzione dell’informatica a cominciare dai calcolatori che memorizzavano il Bit magnetizzando un nucleo di ferrite, attraverso una rete complessa di fili, per mantenere l’informazione binaria (0 e 1).
Grazie a questo processo, dominato da una sequenza di 0 e 1, e alla matematica conseguente con le codifiche dei sistemi ottale ed esadecimale (composti di 4 e 8 bit rispettivamente), è possibile rappresentare codici che rappresentano numeri, lettere, caratteri speciali.
Attraverso questi è possibile rappresentare parole, con questi i pensieri e, con i pensieri, il mondo intero. Abbiamo visto nascere e svilupparsi i sistemi di scrittura, quelli delle comunicazioni, la sempre maggiore capacità di memorizzazione, e la crescente velocità delle CPU.
Tutto ruota attorno a quelle due cifre: 0 e 1. Il sistema binario è un sistema rigido, un sistema di stati diversi e contrapposti che sono rappresentabili attraverso un sistema elettrico semplice, come una batteria collegata, tramite un interruttore, a una lampadina: se metto l’interruttore su ON accendo (stato 1); se lo metto su OFF spengo (stato 0). Semplice, rivoluzionario, efficace. Lo sviluppo tecnologico ha fatto il resto: ne abbiamo la riprova infilando la mano nella tasca e prendendo in mano qualsiasi telefonino.
Se a livello tecnologico il codice binario ha rappresentato una utile rivoluzione, la sua applicazione a livello “mentale” (culturale) non ha sortito gli stessi benefici. In una società sempre più complessa la logica binaria applicata alla politica ha generato, negli ultimi 30 anni, un vero disastro intellettuale e sociale. La formulazione di un pensiero politico ridotto all’osso, del tipo: noi e loro; se non sei con noi sei contro di noi; e se sei contro di noi (in quanto la pensi diversamente) sei parte - complice – del Sistema (qualunque esso sia) partorisce le multiple tifoserie da stadio cui assistiamo quotidianamente.
Decretata improvvidamente la fine delle ideologie politiche del ‘900 (Liberalismo, Socialismo, Comunismo, Cattolicesimo…), siamo piombati in un un deserto ideologico che in troppi han pensato di poter ripopolare con più o meno improvvisate nuove visioni raffazzonate. Uno sviluppo favorito, anche, dalla trasposizione del “mercato”, di stampo neoliberista, nell'ambito politico: una ideologia che ha occupato tutti gli spazi vitali della società, compreso quello intellettuale delle persone.
L’atomizzazione dell’individuo preoccupato di soddisfare i proprio “bisogni”, escludendo qualsiasi visione più ampia, per esempio della comunità, ha creato un prototipo di consumatore della politica divergente dalla figura del cittadino consapevole. Il “partito” diventa una merce, al pari di quelle del supermercato: si guarda alla confezione, al proprio gusto personale, a ciò che “deve” piacere per forza, o che è di "moda"; altrimenti non lo si compra, lo si lascia sullo scaffale, e si esce sdegnati affermando “ nessuno mi rappresenta… perciò non compro”.
Il “potere appartiene al popolo” recita la nostra Costituzione. Ma quale popolo? La definizione è estremamente generica, seppur necessaria. In essa ciascuno può ritrovare parte di sé stesso, come anche parte della comunità a cui ritiene di appartenere. Quante volte abbiamo ascoltato da politici (anche in buona fede) affermare “noi lo facciamo per il bene del popolo (o dei cittadini)?
Cosa significa fare il “bene” del popolo? Di quale popolo (appunto) stiamo parlando? Ciascuno ha una propria immagine di ciò che può essere definito “bene comune” o per la comunità. La Democrazia, per quanto imperfetta, dovrebbe servire proprio a questo: confrontare, mitigare, raccogliere, trovare un ragionevole compromesso, tra le diverse visioni del “bene comune”, per poi sottoporle al voto.
Quando si innesta il pensiero binario in questo contesto, il confronto va in frantumi. Non esiste più un “noi” complessivo, nel senso di una comunità generale di appartenenza, bensì un “noi” esclusivista: un ombelico che si crede il centro del mondo ed esclude tutte le altre visioni.
I fallimenti delle rivoluzioni (popolari), tanto agognate, fallisce proprio su questo terreno: dove l’atomismo individuale di mercato incontra il pensiero binario, e si concede al personalismo di capetti improvvisati, o al populismo borgataro.
Quanti gruppi difensori della “sovranità popolare” abbiamo visto perire in questi anni, o ridursi a rappresentanza poco significante politicamente? Quanti altri gruppi consumati da personaggi in cerca di una ribalta mediatica, e di una collocazione personale in politica?
Quanto ha influito – negativamente- questo modello di pensiero all’interno della politica in questi anni, creando una certa confusione intellettuale tra l’essere “populista” e l’essere “popolare”?
Nel deserto ideologico fiorisce l’illusione che il conservatorismo sia la soluzione. L’idea che esiste un passato glorioso a cui tornare, in cui si stava meglio, e la vita era più felice. Terreno fertile per i populismi retorici, in assenza di un pensiero alternativo che riporti la politica ad una visione progettuale di respiro, in ogni campo, a cominciare da quello economico.
Oltre la dimensione del pensiero binario dualista, esiste un mondo del possibile, di un pensiero democratico, liberale, laico, socialista, democratico… che si occupa della crescita della comunità e degli individui, usando il progresso tecnologico come strumento per lo sviluppo e non come concentrazione di privilegi e ricchezze. Le strutture sociali sono create dall’essere umano, non sono un mandato “divino” o “naturale” (come vorrebbero farci credere): sono quindi modificabili.
Occorre ritessere la trama di un discorso politico che metta in luce le contraddizioni di questo sistema, ma lo faccia con la compagnia di un senso alto della moralità: dove la politica è, in primo luogo, spirito di servizio.
Vice versa, di fronte alla crescita inarrestabile delle differenze sociali, non resta che il ripiego nell’astensione, con la conseguenza del prevalere della rabbia e del rancore irragionevoli, su cui fioriscono le peggiori forme di conservatorismo e autoritarismo.
Davide Amerio
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