Autore
Ilaria Sommaruga
Giugno 2016. Nord ovest della Grecia a pochi chilometri dal confine Albanese e dal mare Adriatico. A guardarla da fuori sembra una vera zona grigia, sensazione confermata ad uno sguardo più attento e a seguito del sopralluogo effettuato nell’area tra il 15 e il 19 giugno 2016.
Nei pressi del confine tra Grecia e Albania, nella regione geografica dell’Epiro, sono stati allestiti cinque campi governativi destinati ad accogliere persone in attesa di chiedere asilo e attivi dalla seconda metà del mese di marzo 2016: Katsika, Konitsa, Doliana, Tsepelovo, Filipiada. Dalle informazioni raccolte sembrerebbero completamente assenti nella regione campi di natura informale e campi di detenzione, presenti invece nell’area nord est della Grecia.
Tutte le persone presenti nei campi della zona sono entrate in Grecia prima del 20 marzo 2016, data dell’entrata in vigore dell’accordo UE-Turchia. Bloccati dalla chiusura delle frontiere fisiche, molti arrivano direttamente dalle isole e non sono transitati da altri campi se non per brevi periodi, altri sono stati trasferiti da altri campi, ora si trovano ad affrontare un ulteriore frontiera, quella della possibilità o meno di avere accesso alla procedura di asilo. Non sono ancora formalmente richiedenti asilo, ma persone che di fatto aspettano di chiedere asilo. Non sanno quando gli sarà data l’opportunità di chiedere asilo, molti non hanno capito esattamente come, qualcuno non ha addirittura idea di cosa si intenda per richiesta di asilo, tutti aspettano la riapertura delle frontiere o di accumulare i soldi necessari all’attraversamento “illegale” delle frontiere. Parliamo di 1200/1400 euro che diventano 3000 per un passaporto falso. Non è chiaro se si stia riaprendo la rotta adriatica o semplicemente le persone risalgono dall’Albania, o entrambe le cose.
Sulla base dei racconti delle persone intervistate nei campi di Katsika, Konitsa e Doliana, sembra che i migranti ricevano una prima informativa sulle isole, seppur sommaria, sulla possibilità di chiedere asilo, così come su relocation e family reunification. Queste informazioni vengono rilasciate o nel momento in cui le persone scendono dagli autobus che dalle aree di sbarco li ha portati nei centri di prima accoglienza sulle isole, o una volta nei centri, talvolta anche attraverso altoparlanti. L’informativa viene generalmente resa con l’ausilio di traduttori. Non è risultato chiaro chi sia incaricato di fornire l’informazione, è verosimile che l’UNHCR sia coinvolta (ma nessuno ne era sicuro al 100%).
Una dei problemi principali risiedono nella tempistica in cui informazioni di questo tipo vengono fornite, in un momento di forte stress e fatica, sia fisica che patologica, a persone appena arrivate dopo un viaggio nella maggior parte dei casi tormentato. Questo spiegherebbe perché altre persone riferiscono di non aver ricevuto alcuna informazione. D’altra parte, l’informativa viene fornita senza chiarire concretamente come avere accesso alla procedura, non è chiaro fino a che punto la domanda di protezione internazionale possa essere per lo meno verbalizzata in quel momento, lasciando piuttosto a una non ben definita fase successiva la registrazione della domanda e la sua formalizzazione. Sembra inoltre da escludere che vengano fornite indicazioni anche sulle conseguenze della non presentazione della domanda. In una fase successiva, quando le persone sono alloggiate nei campi governativi dove le abbiamo incontrate, l’informativa viene data in modo sporadico e, a detta dei più, in modo confuso, senza poter individuare persone o organizzazioni di riferimento. Per quanto riguarda il campo di Katsika, ci è stato raccontato in alcuni casi di situazioni in cui le persone presenti nel campo sono state riunite nel cortile, dove è stato loro spiegato “velocemente” come fare la procedura di asilo, quali sono i loro diritti, qual è la situazione legale di un richiedente asilo. Un gruppo di avvocati greci di Ioannina sarebbe anche arrivato al campo per dare informazioni, senza però coordinarsi, come rilevato dal responsabile di alcune ONG presenti, con altre organizzazioni. Le stesse organizzazioni non hanno chiaro a chi dovrebbe competere questo ruolo.
Sussistono dubbi sull’efficacia e la completezza delle informazioni trasmesse in quanto le persone risultano tuttora confuse, sanno di dover chiedere asilo ma non sanno esattamente come. Un foglio informativo (in inglese con traduzione solo in arabo) è affisso dentro il campo ma è risultato di poca utilità: da settimane le persone aspettano di poter parlare con qualcuno per fare la richiesta ma senza successo e senza avere indicazioni chiare su quanto tempo dovranno aspettare.
A Doliana, un campo che più del precedente ci è parso abbandonato a sé stesso, con poche organizzazioni realmente attive, le famiglie migranti non hanno ricevuto alcun tipo di informativa, né si sono visti cartelli affissi con spiegazioni di alcun tipo.
In generale, risulta molto difficile in questi campi chiedere informazioni ulteriori sulla procedura o chiedere un supporto individuale in merito.
A Konitsa la situazione pare migliore, in quanto, come ci ha riferito il direttore del campo, l’informativa è stata fornita attraverso sessioni collettive e con la visita di un gruppo di avvocati di Ioannina, e tutti i migranti presenti nel campo conoscono i loro diritti. Ci sarebbe anche la possibilità di colloqui individuali in caso di richieste specifiche. Purtroppo però non si è potuto verificare queste informazioni conversando con gli “ospiti” in quanto l’ingresso al campo ci è stato interdetto dallo stesso direttore.
Tutto questo risulta in una lacunosa attuazione della normativa europea, in particolare della direttiva procedure 2013/32/UE riguardante l’informazione sulla possibilità di accesso alla protezione internazionale, “qualora vi siano indicazioni che cittadini di paesi terzi o apolidi tenuti in centri di trattenimento o presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito alle frontiere esterne, desiderino presentare una domanda di protezione internazionale” (art. 8), e la norma relativa alle garanzie di cui i richiedenti devono porte godere (art. 12), in particolare “il richiedente è informato, in una lingua che capisce o che è ragionevole supporre possa capire, della procedura da seguire e dei suoi diritti e obblighi durante il procedimento”.
Ovvero, la Grecia ha il dovere di fornire le informazioni sulla possibilità di avanzare richiesta di protezione internazionale garantendo anche interpreti a supporto dell’informativa. E’ d’obbligo qui sottolineare che alcuni dei migranti intervistati riferiscono di non avere avuto accesso a nessuna informativa legale sul diritto di richiedere la protezione internazionale, alcuni di loro non avevano neppure idea di cosa sia l’asilo, nonostante provenissero da Paesi notoriamente colpiti da gravissime situazioni di violenza generalizzata; altri invece, come specificato sopra, hanno dichiarato di essere stati informati al momento dell’arrivo sulle isole ma di aver preferito non fare domanda per timore di essere ricollocati in Paesi diversi da quello desiderato.
Ci accomuna la percezione di trovarci di fronte ad una fase nuova. Ciò che sta succedendo in Grecia e nei tantissimi campi diffusi su tutto il territorio greco rappresenta una profonda rottura con l’immagine dell’Europa che abbiamo conosciuto fino a poco tempo fa.
Ilaria Sommaruga
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