Il dibattito su come la rappresentazione femminile avvenga nei media e che si usi spesso un linguaggio sessista e non inclusivo, volto allo sminuire la figura della donna e alla mancata valorizzazione della sua persona, è ormai antico. Ma sempre più spesso ritorna all’attenzione nel dibattito pubblico, la necessità di sottolineare il linguaggio, le immagine e il messaggio che viene trasmesso per chi lavora nel campo della comunicazione. Un lavoro prevalentemente portato avanti dalle donne attiviste, femministe e professioniste del settore della comunicazione.
Non possiamo esimerci dal pensare che viviamo in un mondo che è stato costruito a misura d’uomo dove egli è sempre stato visto come soggetto unico, “più importante” in quanto nella storia, ha goduto di maggiori diritti. Solo negli anni Sessanta e Settanta i movimenti femministi hanno iniziato a portare alla luce la disparità di genere nella società, a partire dal diritto al voto, alla necessità di avere un lavoro con pari salariato come gli uomini ed essere indipendenti, mettendo la figura maschile non più come “essenziale” nella vita pubblica e privata, ma come un elemento che coesiste insieme alle donne. Mettere in discussione il patriarcato, un sistema sociale nel quale il potere, l'autorità e i beni materiali sono concentrati nelle mani dell'uomo, ha portato a numerose lotte e riforme che hanno visto le donne maggiormente incluse, ma allo stesso tempo, a vedere i loro diritti perennemente messi in discussione, come se, una pari equità uomo/donna, fosse una minaccia per la figura maschile.
Se la grande maggioranza di chi si trova in posizioni decisionali, di potere e di autorità è un uomo, tenderà a proiettare i propri bisogni su sé stesso e non sulle donne. Gli stereotipi e i pregiudizi sono duri a morire e continuano a perpetrarsi in ogni settore. La pubblicità o il modo in cui vengono narrate le donne in generale, vede attribuire loro valore solo quando la sua figura esalta l’uomo e i suoi desideri a sfondo sessuale. L’alternativa è rilegarla al ruolo di madre e moglie intenta ad accudire la famiglia, togliendole l’identità di essere libera e indipendente nello scegliere che tipo di posizione assumere nella società. I media tendono ancora a classificare lavori maschili e femminili, a pensare all’uomo come figura “in carriera” e la donna come colei che “cura la famiglia e la casa”. Pensare che i ruoli possano essere invertiti, o semplicemente possano esistere in entrambi i generi, è qualcosa ancora difficile da accettare e promuovere e porta di conseguenza alla realizzazione di stereotipi nel campo pubblicitario e comunicativo in generale. Ecco che i prodotti per la pulizia della casa vedono la donna come esponente principale rilegandola alla figura della casalinga mentre l’uomo quasi mai è rappresentato con una scopa in mano; mentre se pensiamo alle automobili sportive o di lusso, sinonimo di potere e forza, il target di riferimento è quello maschile e ha il volto di un uomo. Se vi è la presenza di una donna essa è vista come oggetto sessuale trasmettendo il messaggio nel cliente che se possiedi un’auto bella, sicuramente rimorchierai di più.
La mercificazione del corpo della donna, riducendola a puro oggetto del piacere maschile, avviene non solo per prodotti destinati agli uomini, ma anche per quello femminile, proponendo una rappresentazione della sua figura perfetta, composta, “a modo” anche quando i beneficiari dei prodotti sono le donne stesse. E così notiamo come nel promuovere automobili, alimentari, tecnologia, trasporti, la donna appaia per un uso e consumo dell’uomo, come strumento per attrarre e vendere. Il modello occidentale diventa l’unico canone di bellezza, bianca, alta e magra, escludendo dal mercato altri modelli di femminilità più veri e reali, ma soprattutto, più simili alla donna nella vita quotidiana. La donna viene mostrata solo per il suo aspetto estetico escludendo tutte le altre componenti che la caratterizzano: intelligenza, capacità, idee, valori, competenza. Caratteristiche che quando si tratta della figura maschile vengono messe in risalto.
Questi messaggi, non solo sono dannosi perché raccontano una visione distorta della realtà, ma appaiono anche diseducativi per i giovani che vedono in questi modelli, esempi da imitare e con cui confrontarsi per crescere. Le giovani donne vedranno nel loro aspetto fisico l’unica arma possibile per realizzarsi, tralasciando studi e competenze, gli uomini nel potere e nella forza, l’arma vincente per il successo. Visioni stereotipate che portano a rafforzare i pregiudizi di genere, fornendo un’educazione sbagliata. Gli stessi modelli pubblicitari vengono ripresi anche nelle serie tv, soap opera, televisione e social media, diventando contenuti virali che volgarizzano o sminuiscono la figura femminile e rafforzano quella maschile.
La rappresentazione mediatica della figura femminile prevede l’immagine della donna stereotipata e può essere riassunta in due macro categorie:
1. La donna sensuale, bella, formosa e sexy che attraverso il suo corpo seduce gli uomini invitandoli a comprare prodotti.
2. La donna invisibile, qualora il prodotto di riferimento abbia un target maschile e/o femminile, preferendo l’immagine di un uomo o l’utilizzo di un linguaggio plurale maschile se si tratta di narrare una professione.
In entrambi i casi la valorizzazione delle donne viene negata a favore di una narrazione maschilista centrale, sia essi i promotori o beneficiari di un prodotto o brand.
Gli studi di genere e la lotta alle discriminazioni assumono con il tempo maggior rilievo e le donne denunciano l’uso improprio del loro corpo e di un linguaggio sessista che crea una narrazione sbagliata. Le esperte del campo della comunicazione digitale, come giornaliste, sociolinguiste, scrittrici, attiviste, sottolineano maggiormente la necessità di un vocabolario diverso, volto a ridare valore alle donne e al ruolo lavorativo svolto all’interno della società. A volte ci si dimentica che il 50% della popolazione è quella femminile e come tale, richiede di essere ascoltata.
I punti principali su cui si discute sono:
1. Una rappresentazione della donne che comprenda varie nazionalità ed etnie nella pubblicità.
2. L’esclusione degli stereotipi e pregiudizi che riducano la sua figura a moglie e madre.
3. L’esclusione del corpo delle donne volte ad essere oggetti del desiderio maschile.
4. Un linguaggio inclusivo nelle pubblicità e nel marketing che non preveda il plurale maschile nel raccontare le professioni, ma prediliga il genere neutro o citi uomini e donne includendoli entrambi nella narrazione, utilizzando sia la declinazione al maschile che al femminile.
5. Una sensibilizzazione da parte dei giornalisti nel narrare fatti di cronaca sulla violenza femminile che non le veda come carnefici per il loro abbigliamento succinto, ma vittime, riconducendo la responsabilità dei fatti agli uomini abusanti.
Dobbiamo iniziare a capire e pensare che chiunque si occupi di produrre e promuovere messaggi sia di fatto, un “operatore e operatrice culturale”, diffusore di idee e divulgatore o divulgatrice di principi e visioni del mondo e del suo cambiamento. Per farlo dobbiamo fornire modelli di comunicazione sociale idonei e nuovi, presentando alle istituzioni dati oggettivi e formando aziende e professionisti della comunicazione, sulle tematiche di genere. Dobbiamo scardinare gli stereotipi e presentare nuovi modelli di donne, più reali, vere e libere.
L'obiettivo di una pubblicità è arrivare a più persone possibili. È mandare un messaggio che includa uomini e donne nella scelta dei loro prodotti, li faccia sentire parte di qualcosa, soddisfi i loro bisogni e se possibile, esalti le loro qualità. Più ti avvicini a questa idea, più il tuo target sarà felice di rivolgersi al Brand.
La stessa scrittrice Maya Angelou diceva: “Le persone dimenticano quello che hai detto o fatto, ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire!”
E allora, riprendendo le parole del pubblicista Bill Bernbach: “Tutti noi che per mestiere usiamo i mass media, contribuiamo a forgiare la società. Possiamo renderla più volgare. Più triviale. O aiutarla a salire di un gradino”.
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N.B.
L'articolo è tratto dal sito di Alice Arduino Immagini & Comunicazione. www.alicearduinocomunicazione.com
Link di approfondimento:
1. Linguaggio inclusivo in italiano: guida pratica per chi scrive per lavoro (e non)
2. La questione dei nomi delle professioni al femminile
4. Perché la mascolinità tossica fa male soprattutto agli uomini
Talco Web - Alice Arduino
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