Come riconoscere un'(indi)gestione autonoma.

Dietro lo scandalo a tinte forti che anima il Salone del Libro di Torino c’è in tutta la sua nullezza il dramma della cultura italiana e il fallimento delle gestioni autonome, ovvero quei Soggetti (Fondazioni, Associazioni, Comitati…) che fondati dagli Enti istituzionali (Regioni e Comuni) dovrebbero consentire di fare partenariato territoriale, nazionale e internazionale tra pubblico e privato: un modo elegante per portare in un stesso contenitore giuridico sponsor e amministratori. Dentro le gestioni autonome siedono comodi i potenti della politica (sempre gli stessi), quelli che hanno un’attenzione al territorio e alla sua cultura solo quando li mette in risalto personale neanche politico, siedono gli sponsor privati (sempre meno), quelli che ancora credono alle relazioni derivanti dalla politica e tentano attraverso le loro attività di costruirsi un’immagine da mecenate, e siedono i dirigenti scelti (sempre uguali) a gestire la baracca, quelli che si premurano di avere un buon contratto e ingenti risorse da redistribuire, non sul territorio, ma una rete clientelare a maglie strette. Non siedono le Università, completamente esautorate del loro ruolo scientifico, e non siedono, se non per qualche rara manifestazione politica, le intelligenze reali e dimostrate dei territori, ignorate senza appello.
Le gestioni autonome sono un modello e, come tale, il loro successo è dato dalle persone che portano avanti la pianificazione che si sono date. Se i modelli esistono, si cambiamo o si perfezionano, le persone vanno scelte in base a criteri meritocratici per competenze sia intellettuali che professionali.
L’errore fatale, ma paradossalmente non ancora letale, di pensare a uno scenario di Imprese culturali semi-profit o poco nonprofit che coniugasse pubblico e privato ha portato a creare, quindi, uno spazio benedetto dall’Unione Europea in una serie di interminabili e inutili documenti di strategia e programmazione, in cui la cultura non è altro che emanazione delle classi predominanti che, se una volta dominavano, oggi miseramente fanno sfoggio di incompetenza amministrativa e di malaffare diffuso.
In un Paese che si definisce il più bello del mondo non è accettabile leggere a getto continuo di ingenti risorse per la cultura perse per incapacità amministrativa (vedi Sicilia), di buchi di bilancio milionari nelle Fondazioni artistico-culturali (dal nord al sud), di stipendi da favola a curatori estranei alle dinamiche e alle tematiche di territori (Fondazione Torino Musei) e, soprattutto, di Governatori regionali, Sindaci e Assessori che non hanno la minima idea, nel migliore dei casi, di come vengono spesi i soldi per la cultura delle persone che li hanno eletti.