"Sistema Torino Sistema Italia"di Maurizio Pagliassotti si apre con il resoconto di un colloquio con un anonimo ma significativo esponente del sistema Torino, uno dei suoi padri fondatori addirittura. Il quale, tra le varie cose, rivendica alla politica la bontà della scelta di mantenere il controllo delle banche appartenenti all'ex sistema bancario pubblico, ottenuto attraverso la presenza nei consigli di ammininistrazione delle fondazioni bancarie proprietarie dei loro pacchetti azionari di maggioranza. Perchè così facendo la politica stessa avrebbe la possibilità di redistribuire alla collettività, per fini sociali, ma anche culturali, di ricerca scientifica e istruzione, una parte dei profitti realizzati dalle banche controllate. Integrando e sostituendo, così, i finanziamenti pubblici ai servizi (pubblici), negli anni sempre piu' ridotti (dalla stessa politica, ovviamente).
Il personaggio, intervistato da Pagliassotti, dichiara essere quello il nuovo modello di socialismo: perchè redistribuisce al popolo il profitto. Il dubbio che si tratti di un profitto ingiusto e magari illegittimo non lo sfiiora per niente. Che il socialismo non veda il profitto privato come una funzione economica e tanto meno sociale neppure.
Ma il sistema bancario nazionale (e internazionale), per via della crisi economica che ha contribuito a creare per arricchirsi (e dalla quale è stato salvato grazie al denaro pubblico regalatogli dagli Stati), ora genera meno profitti: e così le fondazioni bancarie 'redistribuiscono' alla collettività sempre meno. Il socialismo, evidentemente, è in crisi.
Dietro il velo quasi impercettibile della fiction, una continuazione ideale di "Chi comanda Torino", cioè di un libro capace di rompere il silenzio e dare molto fastidio ai poteri e ancor più agli squallidi sottoboschi dei poteri locali.
Maurizio Pagliassotti ha un effetto salutare fra quelli che, in questa città, non si rassegnano alla narrazione unica e ormai ampiamente intollerante del potere: le sue inchieste, spesso svolte con la tenacia e la curiosità che non caratterizzano più da tempo il mestiere di giornalista, sono un piccolo oggetto di culto per gruppi, soprattutto di giovani, ostinatamente decisi a discutere, a vedere oltre il velo di Maja dei miracoli italiani in sedicesimo propagandati dai cantori del "Sistema Torino": leggerlo è ogni volta come fare i conti con ciò che non si mostra volentieri del territorio in cui si vive. Un'operazione di igiene mentale, quindi, anche quando non spinge troppo nella provocazione. E di igiene politica, destinata a spargere semi che forse porteranno frutto in stagioni più disposte a uno sguardo critico sulla realtà.
Chi non si accontenta del mojito a un euro come sostanza di una nuova idea di cultura e sostituto della partecipazione alla cosa pubblica, trova nelle pagine di Pagliassotti spunti a non finire.
Nel caso di "Sistema Torino Sistema Italia" spunti da approfondire personalmente, tracce di indagine da mandare avanti per un discorso differente, se non alternativo su una città presentata da chi ne tiene le leve come un modello di amministrazione e di vivibilità, al di là e a dispetto di ogni evidenza: dalla demolizione di ogni attività culturale che non sia ricondicibile alla categoria del consumo (di eventi o di biglietti d'ingresso), alla mancata tutela del commercio, cioè di un settore che nella transizione postindustriale teoricamente dovrebbe essere strategico ma che ha visto invece a Torino un crollo anche maggiore di quello del sistema produttivo, fino alla speculazione edilizia dilagante che produce contenitori effimeri disertati da eventuali fruitori, quartieri dormitorio senza i dormienti, aree metropolitane del tutto prive di servizi; oppure ancora all'indebitamento finanziario senza pari in Italia.
Spunti da approfondire, dicevo, perché in fondo il velo narrativo qui si assottiglia fino a tradursi nella flanerie seminichilista intrapresa dopo l'ennesimo licenziamento, dal protagonista, Pietro Zanna, aspirante giornalista eternamente precario, principalmente interessato (con ragione) ai guasti e alle miserie dell'informazione e quasi casualmente coinvolto dai guasti e dalle miserie (che invece interessano, e molto, a Pagliassotti) dell'amministrazione locale, guasti e miserie su cui Pietro, artista della sopravvivenza si destreggia in una sorta di surfing tra il conformismo e la furia iconosclasta che sembra una magnifica metafora della disgraziata condizione in cui la rapacità dei notabili, la povertà culturale degli amministratori, l'ipertrofia della comunicazione persuasiva sembrano aver relegato i destini dei più giovani abitanti di Torino.
MASSIMO GIOVARA
Quasi un anno fa ho letto il primo libro di Maurizio Pagliassotti, “Chi comanda Torino”, un titolo che, da solo, sfonda il muro della sordità in una città in cui il dissenso della maggior parte dei cittadini si riduce alla lamentela da bar e il resto viene relegato con un feroce un-fair-playtipicamente sabaudo nelle categorie sociali preconfezionate di “quelli che non sanno”, “quelli che sono contro a priori”, “quelli che strumentalizzano”, insomma, le categorie “nemiche” utili a una narrazione politicante che ha fatto strame e marketing della parola “democrazia”, che senza opposizione e dissenso è solo un’altra variante, magari più morbida magari no, di una dittatura del Pensiero Unico.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo, Maurizio Pagliassotti, un giorno, nel cuore di uno dei centri ormai decaduti della rinascita modaiola e urbana: il Quadrilatero Romano di Torino, ferocemente descritto nel bel libro di Giuseppe Culicchia “Brucia la Città”, ovviamente fuori catalogo. Da quel giorno ho avuto l’onore di seguire la stesura di questo suo secondo libro, stavolta un romanzo,“Sistema Torino, Sistema Italia”.
Abbiamo avviato un percorso insieme. Noi due e altre centinaia di persone, che ha portato alla realizzazione di uno spettacolo gemello, scritto da me su sua esplicita richiesta “Il Sistema Torino non esiste”. Abbiamo lavorato alle due scritture in parallelo, scambiandoci informazioni e intuizioni e questo sforzo ci ha portati a scoprire che il dissenso democratico a Torino non solo esiste, ma è anche molto ben informato e pronto a creare una rete di “cervelli” che ha come principale obiettivo strappare dalle mani di un piccolo gruppo di potenti il monopolio del futuro di questa città e di questo paese.
Siamo alla fine dell’impero. I segnali sono evidenti. Eppure “chi comanda”, il gruppo al potere, continua a parlare di crescita e valorizzazione di risorse mentre progressivamente svende pezzi di patrimonio pubblico per garantire un solo tipo di futuro: la sua stessa sopravvivenza.
Il libro inizia come uno spettacolo della Fura Dels Baus. Con un “botto”. Uno dei paradigmi più efficaci utilizzati nell’arte teatrale. Il “botto” all’inizio ha una funzione precisa: azzerare l’assuefazione alla narrazione menzognera proposta costantemente dai giornali e dalle televisioni ufficiali per fare entrare lo spettatore/lettore in un nuovo mondo, quello dello svelamento.
E’ sorprendete che in un libro di questo tipo si dia voce subito, senza mediazioni o distorsioni grottesche, proprio alla voce del Sistema, a qualcuno che il Sistema ha contribuito a fondarlo. Una voce che difende il Sistema talmente bene e con argomentazioni così stringenti che a tratti ho pensato, leggendolo, che avesse ragione lui. Un “lui” che esiste davvero, un interlocutore di Pagliassotti (il cui nome resta ovviamente segreto) che fa un quadro preciso e dettagliato dell’evoluzione di una strategia politico-culturale-economica che ha portato Torino e quello che rimane dell’ex partito comunista al punto in cui siamo ora.
Sì, a tratti ho pensato che avesse ragione lui, e che il dissenso sia solo un giochetto per frustrati annoiati. E poi?
E poi ho continuato a leggere, ho seguito Pietro Zanna, il protagonista del libro, nel suo viaggio attraverso le macerie di una città post-olimpica, post-industriale, post-culturale.
Pietro è nella condizione migliore per poter vedere le cose con chiarezza, non ha più niente da perdere, è libero, è disoccupato, è stato fottuto da quelle stesse parole in cui ha creduto: solidarietà, sinistra, comunità, lealtà, lotta. Quelle parole si sono separate progressivamente dalle idee e dalle pratiche che dovevano rappresentare, si sono svuotate. Il linguaggio si è evoluto e quelle parole ora sono etichette utili a creare nicchie di mercato, a creare soldi e potere. Per pochi.
Pietro ha appena perso il lavoro, la condizione di moltissimi torinesi, in una città con il tasso di disoccupazione più alto del nord Italia, e quindi ora è “dall’altra parte”, dall’altra parte di quel muro impenetrabile che si può passare solo se qualcuno, lassù, apre la porta. Certo, la raccomandazione e la cooptazione sono pratiche tipiche di tutto il paese e non solo di Torino. Ma qui hanno assunto un aspetto perverso, negato. Chi è escluso si deve sentire in colpa, anche se sono proprio il suo lavoro e le sue tasse ad aver permesso la creazione di un sistema oligarchico a piramide, dove la competenza viene sacrificata alla lealtà al Sistema. Chi, per esempio, non può più contare su una delle migliori reti di asili nido d’Italia, perché viene smantellata, e se ne lamenta, non comprende la strategia, è sciocco. Dovrebbe invece ringraziare.
Pietro si muove in totale libertà nella fuffa della propaganda di questo fine Impero, fatto di “inglesorum”, cibo a km 0 a costi surreali, investimenti faraonici anacronistici, megagrattacieli e qualsiasi altra cosa, che però sia “smart”.
E noi, con lui, proseguendo nella lettura, speriamo di essere sempre di più a capire cosa sta davvero accadendo, e di parlarci, metterci insieme, e provare a cambiare il futuro in meglio, ma non per pochi, per tutti.
LORETTA DELUCA
"Sistema Torino, Sistema Italia" mi ha fatto pensare alla fiaba di Andersen "I vestiti nuovi dell'imperatore", nella quale un intero popolo ammira i magnifici (e inesistenti) nuovi abiti del sovrano. Tranne un bambino, che urla "Il Re è nudo". Ecco, Zanna-Pagliassotti, come il bambino, ci mostra il sistema nudo e crudo. Si infila nei salotti e negli uffici del potere e fotografa i personaggi, di primo e secondo piano, che stanno dietro l'illusione di una città e di una società che qualcuno ha trasformato in un guscio luccicante ma desolatamente vuoto. Guscio nel quale si dibattono almeno tre tipi umani: i manovratori, quelli delle idee geniali e dei grandi mezzi, i potenti; gli assimilati, quelli che aspirano a un posticino, costi quel che costi, insieme a quelli che davvero ritengono che il sistema sia il migliore possibile perché scelgono di vederne solo un lato; e infine gli esclusi, i non previsti e non ammessi, come i ragazzi delle periferie, o gli auto esclusi, i consapevoli, quelli che il sistema lo denunciano e lo rigettano.
Pagliassotti questa volta, attraverso le storie professionali e personali che racconta, appartenenti alla cornice narrativa del libro, aggiunge elementi di realtà, di concretezza, alle inchieste giornalistiche. La lettura è leggera, lo stile brillante e piacevole e siamo empaticamente più vicini agli effetti del sistema: che si traducono nelle vicende, a volte nelle piccinerie, dei personaggi, caratterizzati con pochi ma efficaci dettagli. Le descrizioni di atmosfere, luoghi, e anche persone sono rese in modo molto vivido, cogliendone le caratteristiche distintive a partire dalle quali il lettore può figurarsi benissimo la realtà e, nel caso dei personaggi, i pensieri e le emozioni che essi vivono.
Il protagonista, Pietro Zanna, nelle sue meditazioni deambulanti per la città trasmette la tragicità del sistema, ancor più che con i freddi numeri della documentazione giornalistica. E insieme alle suggestive descrizioni del centro città e dell'esperienza notturna della movida torinese, con le sue implicazioni sociologiche, ci comunica il proprio percorso interiore, la presa di coscienza, con amara conclusione, dello squallore che lo circonda.
Si sorride, spesso, ma con una certa inevitabile amarezza, delle figure rampanti del giornalismo, dei ridicoli vezzi degli uomini che detengono il potere. Non si sorride più, invece, quando il tritacarne del sistema investe le sue vittime, quando le distrugge, le sfrutta, le umilia.
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