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Mario Guglielminetti / @mariogug
In un momento in cui essere sempre on-line, sotto i riflettori con post, selfie o video, è diventato un imperativo categorico, si comincia parlare in modo critico del diritto della privacy degli utenti quando visitano i motori di ricerca, i social network e i website di informazione e vendita.
Il dibattito, finora, si è incentrato maggiormente sul diritto a non essere continuamente tracciati per le nostre preferenze e i nostri gusti, dimenticando che sono gli stessi utenti che spesso vivono una bulimia da web che li tiene on-line mediamente più di due ore al giorno tra PC, smartphone e tablet. Il costante bisogno di mostrare continuamente agli altri quello che si fa, mettendo in piazza la propria vita pare un trend, infatti, in continua crescita che da un parte rafforza legami e relazioni, dall’altra pone il nostro essere/esserci in modo, a volte, sempre di più esagerato.
L'essere è diventato l’esserci e la continua esposizione pubblica è divenuta una sorta di notorietà prét-à-porter, che permette di non essere un qualcuno per sempre (un giornalista, un contabile, un fotografo..) ma un protagonista per un momento, lungo ore o mesi, in cui rispecchiarsi, per piacersi, per riconoscersi e, soprattutto, per ottenere considerazione e ricompense a livello sociale. Gli altri, gli amici che abbiamo sui social network, vicini o lontani, che incontriamo o che non sapremmo neanche riconoscere, diventano gli spettatori delle nostre identità e, attraverso un “mi piace” o un commento decretano, o meno, il nostro successo, stabilendo la cifra del livello di attrazione che riusciamo a raccogliere.
Il fenomeno dell’oversharing, la condivisione sul web di ogni dettaglio della vita privata con una platea spesso semisconosciuta, è nato e cresciuto, ovviamente, con la diffusione dei social network ma è limitativo circoscrivere questa dinamica al web. Internet di fatto dilata e amplifica un trend che la società contemporanea incarna come esemplificativo: l’estensione del proprio spazio nella comunità globale attraverso un nuovo linguaggio mondiale che prevede la coniugazione tra parole e immagini come moneta della nostra fora individuale e relazionale che ci rafforza e gratifica a costo zero.
Questo comporta un eccessivo presenzialismo che espone le persone maggiormente al giudizio e alle valutazioni degli altri, per ciò che si pensa e per ciò in cui si crede, e quindi anche per le proprie debolezze e insicurezze, spesso evidenti proprio per il bisogno di essere sempre, in qualche modo, al centro della rete, tanto che vengono utilizzate per attrarre nuovi utenti nei siti massive media, come fa Meetic quando si promuove attraverso lo slogan: “Ama le tue imperfezioni”, con tanto di hashtag #loveyourimperfections.
Il phubber, l'impulso a maneggiare costantemente il cellulare snobbando la persona che si ha davanti o la situazione che si sta vivendo, è il sintomo non di un distanziamento emotivo dagli altri presenti fisicamente, ma di un bisogno incessante di non perdersi nulla di ciò che accade nelle reti con cui interagiamo, come se fosse sempre tutto estremamente importante.
L'essere costantemente in prima linea negli eventi e nelle celebrazioni è un trend, non compreso pienamente né dalla psicologia né dall’economia né tantomeno dalla sociologia, che sta riscrivendo le pratiche di consumo più legate a momenti rilevanti che a possessi che si esauriscono in se stessi.
La forma dell’hic et nunc – qui e ora – delle nostre emozioni ed esperienze, mediata in passato solo dalla televisione in un rapporto uno a molti, grazie al Web diventa una relazione uno a uno e consente di toccare con mano su smartphone e tablet quanto siamo percepiti, capiti o ignorati.
Se, quindi, essere è esserci, con le distonie che questo può comportare, la sfida per le società contemporanee è quella di tornare a creare valore collettivo, uscendo dalla bassa qualità che ha messo in crisi i mass media tradizionali (tra cui ormai si annovera anche il “Web alla Facebook”) e attivando dinamiche che coniughino in un processo circolare di momenti/eventi di partecipazione che raccontino in un linguaggio comune una volta economia e arte, un’altra volta letteratura e welfare, un’altra volta ancora politica e filosofia e così via, dove è, finalmente, il progresso culturale che determina lo sviluppo e il benessere socioeconomico.
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Mario Guglielminetti / @mariogug
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