Autore
Davide Amerio
di Fabrizio Bertolami.
Nazioni prima considerate del secondo o terzo mondo, come Russia, Cina o India, competono con Europa e USA per l’egemonia mondiale. La prima delle due, è in preda alle convulsioni generate dalle rivolte interne francesi, dalla secessione inglese, dal “ribellismo” italiano e dal nazionalismo delle Nazioni dell’est. La seconda ha deciso di cambiare tutte le regole, e di stracciare quelle che non possono esserlo in maniera a lei favorevole. America First è il motto del Presidente Trump, e si staglia su ogni azione della sua amministrazione. Tutto questo, però, porta con sé una serie di ricadute che investono la natura delle società. I segni di un passaggio di stato nell’Ordine Internazionale ci sono tutti, come fa notare Richard Haas su Foreign Policy del gennaio 2019 1.
Il sistema internazionale non è così “inevitabile” come una certa narrativa lo dipingeva appena due anni fa. Anzi, è in continuo mutamento ed è per questo che sono necessari aggiustamenti al sistema di regole che governano il mondo dalla fine della II Guerra Mondiale prima, e della Guerra Fredda poi. Anche se alcune tensioni, come quella coreana, sembrano stemperarsi, altre si stagliano già all’orizzonte, come una crisi sino-americana o russo-europea. Senza contare il calderone sempre acceso del medioriente.
Il sistema in cui attualmente viviamo è solo in seconda battuta figlio della seconda guerra mondiale. Dopo quel tragico evento nacquero la CECA, primo embrione dell’attuale UE, la NATO, la Banca Mondiale, Il Fondo Mondiale Internazionale e il GATT, che diverrà in seguito WTO e la trasformazione della Società delle Nazioni in ONU.
Questi organismi sovranazionali hanno rappresentato il quadro giuridico, militare, politico ed economico al quale le Nazioni, e quindi le politiche nazionali, hanno dovuto conformarsi in questi 70 anni.
Il mondo, materiale e immaginario, in cui viviamo è però, in prima istanza, conseguenza di quanto avvenuto nei primi anni 70.
Il 15 Agosto del 1971, l’allora Presidente americano Nixon, annunciò che avrebbe “temporaneamente chiuso la finestra di convertibilità tra oro e dollaro” ponendo fine alla parità aurea di 35 $ per un oncia di oro, che era rimasta valida dagli accordi Bretton Woods in poi. Si dava il via alla fase inflazionaria del dollaro2 e alla sua diffusione planetaria. La cosiddetta “dollarizzazione dell’economia mondiale”
Il 21 Febbraio del 1972, lo stesso Nixon si recò in visita in Cina.
Detta così, oggi, sembra un’affermazione banale ma per il periodo fu un gesto epocale. Nel pieno della Guerra Fredda, il Presidente americano si recava in visita ufficiale nel più popoloso paese comunista, suo acerrimo nemico ideologico e militare. Gli accordi che ne scaturirono permisero alla Cina di uscire dall’abbraccio, troppo stretto, con l’URSS e agli Stati Uniti di dividere un blocco che, unito rappresentava i due terzi della massa terrestre.
I cinesi gradiscono perseguire accordi in cui ognuno degli attori raggiunga un proprio obiettivo, almeno subottimale. E’ la strategia detta “win-win”.
Anche dal punto di vista economico, cinesi e americani si accordarono per ottenere un vantaggio reciproco. Il mercato statunitense. ed occidentale, si sarebbe aperto alle merci cinesi, se il Paese di Mezzo avesse poi reinvestito i capitali guadagnati, acquistando debito pubblico americano. A giugno del 2018 il debito acquistato da Pechino ammonta a 1200 miliardi di $3 ed è il maggiore tra i creditori degli USA.
Le ricadute per il mondo hanno iniziato a vedersi a partire dal 1978 e poi con maggior slancio dal 1992, con la nuova politica di Deng Xiao Ping, e il suo slogan: “arricchirsi è glorioso”. Il Socialismo con caratteristiche cinesi, immaginato da Deng, non disdegnava la crescita economica e quella industriale. Da allora, migliaia di aziende da tutto il mondo hanno realizzato propri impianti in Cina, realizzando quello che si chiama “off-shoring”, chiudendo contemporaneamente le fabbriche nei paesi d’origine.
Ciò è avvenuto soprattutto negli USA che, a partire dagli anni 90, hanno ridotto la produzione industriale ed aumentato le importazioni dall’estero, soprattutto dalla Cina. Contemporaneamente si è verificata la forte finanziarizzazione dell’economia americana e il progressivo aumento del deficit commerciale con Pechino.
E’ soprattutto accaduto che milioni di aziende cinesi siano entrate nel mercato globale. Il mix tra basso costo del lavoro, trasferimento di tecnologia, popolazione con elevati tassi di educazione universitaria, politiche dirigiste e porti naturali noti da secoli, sia stato letale per molte aziende occidentali.
Per fare un esempio, la quasi totalità della produzione di articoli elettronici quali televisori, radio, videoregistratori, DVD è stata monopolizzata da aziende cinesi, dapprima con marchi europei o giapponesi, e quindi con quelli propriamente cinesi. Ad oggi non esistono più produzioni di rilievo in Europa ed anche molti marchi storici sono stati acquistati da fondi finanziari asiatici.
Molte altre produzioni, in special modo quelle con basso valore aggiunto o con lavorazioni largamente manuali, sono state spostate in Cina prima e nel resto dell’Asia, poi.
L’abbassamento generalizzato dei costi di produzione ha stimolato l’offerta, che si è riversata sui mercati mondiali grazie alla crescita esponenziale della logistica marittima. Le grandi navi portacontainer hanno iniziato a solcare i mari in maniera sempre più copiosa e le grandi catene di distribuzione, con i loro ipermercati, hanno portato il “modello di consumo” americano in tutto il mondo. E’ stata quella che abbiamo chiamato per più di dieci anni, “globalizzazione”, ed ha cambiato molti dei paradigmi economici e politici del mondo uscito dalla fine della Guerra Fredda.
Se è vero che in Cina è nata una enorme classe media, e addirittura una vasta platea di miliardari, in quest’ultimo quarto di secolo, in tutto l’occidente, si è verificato un abbassamento dei salari ed un aumento della disoccupazione. Il vasto credito concesso nei primi anni 2000, ha finanziato molti acquisti altrimenti impossibili, come l’auto o la casa e l’impoverimento è stato solo in parte compensato dall’abbondanza di merci a basso costo provenienti da tutto il mondo, ed in particolare dalla Cina. E’ veramente raro, ad oggi, trovare in casa un prodotto che non sia marchiato “made in china”, indipendentemente che sia un costoso televisore 50 pollici o un economico portachiavi.
Tutte le Nazioni occidentali, nessuna esclusa, hanno un disavanzo commerciale con il paese del Dragone, e non tutte hanno esportazioni o partecipazioni in aziende cinesi, sufficienti a contrastare il fenomeno della “cinesizzazione”.
L’apparizione dei BRICS sulla scena mondiale è coinciso con la prepotente crescita della finanza internazionale. Strumenti sempre più sofisticati sono stati il sostegno della globalizzazione in tutti gli anni 90 e lo sono tutt’ora. Sebbene le crisi si siano avvicendate, a cicli quasi regolari, in tutti decenni e con effetti sempre maggiori, la finanza resta il principale collante del sistema internazionale, che piaccia o meno.
Senza i flussi di capitali che quotidianamente si spostano da un continente all’altro, non potrebbero muoversi neanche le merci che con quei capitali vengono prodotte ed acquistate.
A seguito della crisi del 2008, e negli anni seguenti, di fronte al porto di Singapore si ammassarono centinaia di navi portacontainer vuote. Il Baltic Dry Index, l’indicatore che segnala il costo di affitto di tali navi, era sceso a livelli talmente bassi che diverse navi furono demolite, poichè il costo dello stallo in porto non sarebbe stato ripagato dall’eventuale nolo.
Come detto, nel ’71 Nixon ha messo fine al “gold standard” americano e ciò ha permesso la creazione quasi infinita di massa monetaria che si è riversata in tutte le attività industriali, commerciali, di ricerca, di comunicazione. Da quel giorno in poi, il mondo ha iniziato a navigare in un mare di credito denominato in dollari.
Con il credito arriva, però, anche il debito.
L’enorme balzo in avanti delle telecomunicazioni mondiali, è avvenuto a scapito di centinaia di migliaia di investitori. Alcuni di loro hanno perso denaro durante la bolla delle aziende di telecomunicazioni, e la corsa alla posa dei cavi di interconnessione transoceanica e internazionale. Altri li hanno persi nella successiva bolla delle “dot com”, le aziende di internet che appena nate si quotavano in borsa, e raggiungevano quotazioni stellari.
Questo processo ha però permesso sovracapacità di connessione, con la conseguente riduzione dei costi, e un’ampia diffusione di internet tra la popolazione mondiale per la successiva, attuale fase, in cui la rete è parte integrante dell’economia reale di molte Nazioni. I magazzini di Amazon impiegano centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, e l’indotto muove miliardi di dollari ogni anno.
L’alternarsi delle fasi di “boom and bust”, crescita e crollo, dell’economia mondiale è stato una costante degli ultimi decenni, a partire dal “lunedì nero” del 1987 sino al fallimento di Lehman Brothers nel 2008. Ognuna di esse ha portato ad un aumento del credito rilasciato dalle banche centrali mondiali, a nuove regole emesse dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (le famose regole di Basilea) , a nuove bolle e a nuove crisi.
Stiamo per raggiungere il punto di questa digressione, sebbene la premessa sia stata piuttosto elaborata.
Oggi tutte le materie prime vengono scambiate in dollari, così come la maggior parte delle transazioni economiche, monitorate attraverso il consorzio SWIFT, attraverso il quale devono obbligatoriamente passare4.
Il sistema finanziario internazionale è incardinato al dollaro e ne è suo ostaggio. Le sanzioni americane sono temute come le scomuniche della Chiesa del 1200, e si parla apertamente di “dollar weaponization”, un concetto che in italiano si potrebbe tradurre con “usare il dollaro come un’arma”. Le fluttuazioni della valuta americana sono decise dalla FED e dal Ministero del Tesoro, ma influenzano i destini di tutto il mondo. Il suo utilizzo negli scambi internazionali è condizionato alla volontà di un solo paese, gli USA, ed esserne esclusi porta all’isolamento internazionale. Inutile dire che ogni epoca ha avuto la sua moneta preminente, e che l’enorme diffusione del dollaro ha creato le condizioni per la nascita e la crescita del mercato internazionale, ma la fase attuale è ampiamente multipolare e necessita regole nuove.
Ed è un paradosso, se si pensa che questo momento storico è proprio un effetto dell’enorme crescita degli scambi internazionali, grazie a mercati regolamentati e finanziariamente resi stabili dalle transazioni in dollari.
Lo squilibrio attuale è l’effetto di quanto descritto nella premessa; dopo anni di off-shoring, il consumatore americano non ha più un lavoro per alimentare i propri consumi, o il proprio reddito non è sufficiente. L’impegno di Trump a riportare aziende sul suolo americano è legato alla perdita del tessuto industriale americano, che rende difficile riequilibrare le esportazioni e con esse la bilancia commerciale. Accordi in tal senso sono già stati imposti a Messico e Canada. Se poi si considera che nell’acquistare prodotti cinesi gli americani finanziano il proprio principale sfidante per l’egemonia mondiale, si comprende l’enfasi che il presidente americano mette nelle trattative sul commercio internazionale. Dall’altro lato dell’Atlantico, i consumatori europei lottano da anni con la disoccupazione, che è in media il doppio di quella americana, e vivono in Nazioni con tassi di crescita molto bassi, se comparati a quelli di molti grandi competitori esteri.
Le sollecitazioni all’Europa a “prendersi maggiori responsabilità” nel campo della difesa, che tradotto significa aumentare la propria contribuzione nella NATO, sono anch’esse una scelta legata alla riduzione del budget americano e a una ridefinizione delle priorità strategiche.
Le scelte politiche di Trump, tese a ridurre le spese americane ed aumentare le entrate, non sempre si conciliano con le decisioni della FED, che è propensa ad imboccare la strada del lento, ma costante, rialzo dei tassi di interesse. Ciò porta ad un apprezzamento del dollaro, che rende più difficili le esportazioni e convenienti le importazioni, un effetto che vanifica le scelte delle politiche presidenziali.
Come ben si comprende “l’esorbitante privilegio”, come lo definì De Gaulle, di poter essere al contempo utilizzatore ed emittente dell’unica valuta di riserva, porta con sé oneri e onori.
Anche gli USA si stanno rendendo conto che i primi stanno superando i secondi.
Molte Nazioni scambiano ogni giorno miliardi di dollari per acquistare prodotti energetici. Alcune di loro hanno creato programmi di “swap”, di scambio, di rispettive valute per acquistare i prodotti reciproci e aggirare l’egemonia del dollaro5. Per Nazioni come l’Iran, sotto sanzioni da più di 40 anni, vendere petrolio e gas in dollari è divenuto, nei fatti, impossibile. La Repubblica Islamica ha però in essere contratti miliardari con Russia e Cina in Rubli e Yuan e con altri paesi addirittura in oro.
La stessa Unione Europea, il più grande consumatore di energia del pianeta6, vuole mantenere i contratti nel settore energetico con l’Iran e sta predisponendo un veicolo finanziario in euro per aggirare le sanzioni americane. Il fondo sarebbe aperto ad altre Nazioni, e se si concretizzasse rappresenterebbe una modalità alternativa al pagamento in dollari.
L’Euro, per quanto contestato, è ormai la seconda valuta mondiale ed è pronto a sfidare il dollaro come moneta di riserva 7.
Anche i cinesi aspirano a rendere convertibile la loro valuta e così i russi. Questi ultimi hanno iniziato a vendere petrolio e gas in rubli attraverso contratti swap ed hanno ridotto a soli 15 miliardi di $ il loro portafoglio di titoli americani8. Ciò è in linea con le attese russe di potersi attendere di essere espulsi dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT, che non solo impedirebbe di recuperare quei crediti, ma escluderebbe la Russia dal commercio internazionale9.
Russia, Cina, Europa, India e molti altri paesi stanno da tempo pensando ad un sistema di pagamenti internazionale fondato su un paniere di valute, con un sistema valutario regolato, indipendente dalle volontà politica di una singola Nazione.
Si avverte l’esigenza di uno strumento politicamente neutro per gestire le transazioni economiche.
Quello strumento esiste già ed è sempre stato presente negli ultimi 5000 anni circa.
Si chiama oro.
Nel 2021 saranno passati 50 anni dall’annuncio di Nixon, e l’idea che possa riaprirsi quella finestra che “temporaneamente” chiuse svelerebbe scenari totalmente nuovi.
E’ da ritenersi impossibile l’ipotesi di un ritorno ad un Gold Standard, almeno negli scambi internazionali?
Negli ultimi 15 anni la crescita del prezzo dell’oro è stata esponenziale, arrivando a toccare i 1800 $ nel 2012. E’ ancora considerato moneta sonante in tutto il medioriente, in cui la finanza islamica lo usa attivamente nelle proprie transazioni, in Asia ed anche la Russia lo valuta un ottimo investimento10.
Il più grande produttore mondiale è la Cina, che però non lo commercia. Le stime sui lingotti di Pechino ufficiali si attestano sulle 1850 tonnellate, ma molti analisti stimano possano essere più del doppio. In questa particolare classifica sono primi gli Stati Uniti con 8130 tonnellate, seconda la Germania con 3370, terza l’Italia con 2450 poi la Francia con 243011.
Tutte le banche centrali hanno aumentato i propri possedimenti di oro fisico e il metallo giallo fa parte di panieri di investimento di grandi fondi ed è il collaterale di ETF e derivati. Una parte dell’oro di alcune Nazioni europee, è custodito a New York, presso la FED, e a Londra. In parte è la conseguenza della Guerra Fredda, per custodire l’oro europeo il più lontano possibile da Mosca, ma in qualche caso è servito da “garanzia” per prestiti particolarmente corposi. Negli ultimi anni è cominciato un movimento inverso, che ha riportato parte di quell’oro nei forzieri dei legittimi proprietari, e questo ha scatenato diverse illazioni. Nel mese di ottobre del 2018, l’Ungheria ha quasi decuplicato i propri possedimenti (31,5 tonnellate) seguendo quanto fatto negli anni precedenti da Polonia, Russia e Cina. Solo l’Inghilterra ha venduto quasi tutto il suo oro e per giunta ai prezzi più bassi del periodo, nel 2004.
Il problema principale dell’oro è al contempo la sua forza: la scarsità.
L’oro già estratto e raffinato, puro al 99% e vidimato è pari a 190000 tonnellate , se ne stima ne rimangano 54000 tonnellate12. Il valore totale di tutto l’oro estratto è , ai prezzi di dicembre 2018, pari a 7.1 triliardi di $.
Il valore totale dell’economia mondiale è stimato in 80 triliardi13; il rapporto è quindi di 11 volte. Ipoteticamente, quindi, il prezzo dell’oro dovrebbe aumentare di almeno quella cifra per assorbire l’intero valore dell’economia globale . Senza contare il valore attuale dei beni già esistenti.
Inoltre, l’economia mondiale è in larga parte è formata da strumenti finanziari fondati sul debito. Senza contare gli investimenti detti “a leva”, fatti cioè moltiplicando per un certo multiplo l’investimento iniziale (ma anche le perdite, nel caso contrario). L’oro non è moltiplicabile e, vista l’esigua quantità con la quale aumentano le riserve mondiali, è altamente stabile. Non è certamente lo strumento ideale per un mondo in cerca di continua crescita, ma può esserlo se l’obiettivo è la stabilità del sistema internazionale degli scambi, ma con regole nuove.
Sarà forse necessaria una cancellazione, magari un dimezzamento, del debito di tutte le Nazioni mondiali, per permettere all’oro di essere effettivamente un asset nel valutare le finanze nazionali. E’ anche probabile che parte della “finanza creativa” che ha dominato il settore economico degli anni 2000, e che ha già portato alla crisi del 2008, dovrà aver fine. Un mondo in cui torni un “nuovo Gold Standard” sarà fondato sulla produzione di valore reale e sul suo scambio per un certo controvalore di metallo (con adeguati strumenti economici). La finitezza dell’oro e la sua tangibilità, lo rendono poco utilizzabile per prodotti altamente speculativi con rendimenti a doppia cifra. Già ora, nell’ambito della finanza islamica, i prestiti in oro non pagano interesse, e prestatore e contraente si impegnano in una partecipazione paritetica nell’investimento.
Questa ovviamente non è che una suggestione, ma quell’annuncio di Nixon e quel suo riferimento alla temporaneità dell’intervento lasciano aperti diversi interrogativi. Gli accordi internazionali hanno spesso durate predefinite, e queste sono di solito multipli di 5 anni sino ad arrivare a 100.
50 anni è un anniversario evocativo, e se si presenta in un periodo di tempeste valutarie, borse in discesa, tassi di interesse in crescita, bilanci nazionali che scricchiolano, tensioni geopolitiche, pensare che abbia una parte in tutto ciò non è irrealistico.
Così come 50 anni fa, cinesi e americani si trovano nella condizione di poter raggiungere un accordo win-win giocando, come allora, una partita di ping pong tra dazi e tariffe, svalutazioni e tassi di interesse.
Gli USA vogliono partecipare al ricco mercato cinese delle importazioni ma non vogliono subire le importazioni spinte dalle svalutazioni artificiali dello yuan. I cinesi vogliono continuare a mantenere aperto il commercio internazionale e , possibilmente, riprendersi parte di quei 1,2 trilioni di dollari che hanno prestato a Washington. Il tutto sull’orlo di un confronto militare diretto nel Mar Cinese Meridionale, o per procura, in Korea.
Anche oggi, come allora, a Pechino siede un “Grande Timoniere”, eletto a vita, e a Washington un Repubblicano, sebbene atipico e forse “antipatico” almeno quanto Nixon.
Anche oggi la Russia ha un ruolo di primo piano su tutti gli scenari mondiali, ed è straordinariamente vicina a Pechino su molti fronti.
L’Europa è in tutt’altre faccende affaccendata.
Le condizioni per un accodo epocale ci sono tutte.
(F.B. 20.12.18)
1https://www.foreignaffairs.com/articles/2018-12-11/how-world-order-ends
3https://www.bloomberg.com/news/articles..
5https://www.ilsole24ore.com/art/m....
6https://temi.camera.it/leg17/temi/l_unione_dell_energia_e_la_lotta....
7https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-12-05/com...
8https://www.businessinsider.com/russia-sells-us-treasuries-debt-2018-7?IR=T
9https://www.cnbc.com/2018/05/23/russias-central-bank-govern...
10https://www.gold.org/goldhub/research/relevance-gold-strategic-asset
11https://www.gold.org/goldhub/data/monthly-central-bank-statistics
12https://www.gold.org/goldhub/data/above-ground-stocks
13https://www.visualcapitalist.com/80-trillion-world-economy-one-chart/
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Davide Amerio
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