Autore
Davide Amerio
Contributo di Antonio Alei.
Le migrazioni sono sempre esistite fin da tempi preistorici, anzi, per meglio dire, sono esse stesse la storia dei popoli e dei continenti. Senza migrazioni l’Europa, l’Asia, le Americhe e l’Australia sarebbero ancora dei posti da esplorare e “civilizzare” (chissà, col senno di poi, se non sarebbe stato meglio!)
Dal Cinquecento gli europei si sono sparpagliati, migrando a milioni, per i quattro cantoni del mondo, dando origine a nuovi stati e nuovi traffici commerciali, ossia ad accrescere benessere e ricchezza, nonché conoscenza.
1972 – Un missionario comboniano sta parlando alla radio della sua esperienza ventennale in Africa, in particolare nei cosiddetti paesi della “Costa d’Oro”: Ghana, Togo, Costa d’Avorio.
Si sofferma sulla produzione di cacao, quasi una monocoltura in quell’area imposta dalle multinazionali del prodotto. Nei primi anni della sua permanenza in Costa d’Avorio (inizio anni ’50) una jeep veniva acquistata con un sacco di semi di cacao. Una quindicina d’anni dopo la stessa jeep costava 40 sacchi di cacao.
1988 – Lima, Perù. Un minatore che lavora all’estrazione di argento, rame, zinco e stagno sulla cordigliera andina viene pagato 15-20 dollari USA al mese, lavora 12-14 ore al giorno ed ha una aspettativa di vita che non va oltre 40 anni. Nessuna forma di assicurazione sociale, nessuna assistenza sanitaria e nessuna pensione. Qui una foto satellitare di una di queste miniere di cui sulle Ande ce ne sono a centinaia, con relativo impatto ambientale di ogni tipo
La diagonale più lunga del “buco” misura circa 1,8 km per una profondità di 400 metri. Tutt’intorno sorge la storica città mineraria di Cerro de Pasco con 70.000 abitanti a ben 4300 metri di altitudine.
Oggi la miniera è gestita dalla Volcan Company. Nel 1902, la Cerro de Pasco Corporation americana acquistò numerose piccole miniere nei dintorni della città, con finanziamenti provenienti da JP Morgan, Henry Clay Frick, Hearst, e Vanderbilt, raggruppando in seguito la maggior parte delle attività minerarie sotto una singola impresa.
Il mare (Oceano Pacifico) lungo le coste peruviane è uno dei più pescosi al mondo. I contratti internazionali di concessione e sfruttamento della pesca stipulati con vari paesi, fra cui Russia, Giappone, Canada, USA, ecc. dovrebbero garantire al Perù il 15% del pescato. Amici del Ministero preposto mi hanno detto che non riuscivano a recuperare più del 5% causa “ostilità” verso i controlli in mare della controparte. Talora spariva la motovedetta della capitaneria con l’intero equipaggio. Nella sterminata periferia di Lima, di cui qui accludo una foto,
la sopravvivenza è una lotta giornaliera, così come lo è in molte megalopoli del cosiddetto “terzo mondo”.
Malgrado ciò queste “abitazioni”, di certo non dotate di molti comfort, sono spesso attrezzate con antenne paraboliche satellitari con cui si seguono i programmi TV di mezzo mondo.
Che cosa significa tutto ciò? Che i nativi vedono immagini provenienti dai paesi occidentali del “benessere” e nella loro mente viene spontaneo il confronto fra le loro condizioni di vita e le nostre.
Cosa pensate che ne possano arguire? Che “qualcuno” li ha fregati e continua a fregarli!
Che fanno? Appena possibile scappano dalla miseria per recarsi nei luoghi del “bengodi” telegenico ad esigere di “spartirsi la torta” o, quanto meno, risarcire il “maltolto”, i patimenti subiti e a noi (nella loro ottica) direttamente imputabili.
1995 – In una delle tante dependance della Camera dei Deputati si teneva un convegno sullo sviluppo dei trasporti Euro-Mediterranei.
Si parlò di autostrade del mare, trasporti combinati, movimentazione container, integrazione mare-ferro-gomma, ecc. ecc. Nella sala c’era un gran brusio e animazione per le prospettive di sviluppo futuro dell’economia dei Paesi del bacino mediterraneo prospettate dai vari relatori.
Per ultimo prese la parola l’on. Giuseppe Zamberletti che esordì senza perifrasi e andando subito al nocciolo della questione, obiettando che fra tutti gli scenari prospettati ne mancava uno essenziale: cosa avremmo dovuto fare per gestire al meglio l’imminente assalto alle coste europee, Italia per prima, delle centinaia di milioni (lui parlò di un miliardo e mezzo) di desesperados africani, mediorientali e di altre etnie che ci stavano per invadere (come si è poi puntualmente verificato).
A quel punto sulla sala, dapprima animata come ad una festa di Capodanno, scese un silenzio di tomba e si diffuse fra i presenti un gelo “artico”.
Questo è quello che secoli di colonialismo e di sfruttamento ha inculcato nelle menti di quelli che fino a ieri, ma ancora oggi, sono stati trattati come paria o schiavi, la cui vita, per noi “unti dal Signore”, vale meno di una cicca di sigaretta. Ma la valutazione è reciproca. Per gente nata e vissuta in posti dove la vita vale meno di zero, anche la nostra vale altrettanto e si comportano di conseguenza. Il loro “parametro” è quello e non collima di certo col nostro.
Per quelli che hanno visto il film di Sordi del 1974 “Finché c’è guerra, c’è speranza”, tutto ambientato in Africa, sarà più facile comprendere la parabola che abbiamo vissuto negli ultimi cinquant’anni di politiche post-coloniali. Al controllo diretto degli stati occidentali ex coloniali si sono sostituite le multinazionali di ogni tipo che hanno fatto letteralmente “carne di porco” (come per la produzione di cacao di cui sopra) di quel poco di organizzazione, legalità e inquadramento sociale esportato con “magnanimità” e “cristianità” dai colonizzatori europei. Così sono risorti i contrasti tribali, si sono creati governi fantoccio, sono stati insediate dittature criminali, si sono perpetrati stermini di massa, si è permesso all’Islam estremista di inserirsi nel “vuoto” di potere religioso. E oggi non ci possiamo più neppure appellare alla politica delle “cannoniere” tanto in voga negli anni a cavallo fra Ottocento e Novecento. I Media televisivi e i trattati internazionali ce lo impediscono, a meno di mascherare il tutto come “operazione umanitaria di pacificazione” sotto l’egida dell’ONU e perpetuare ad libitum gli sbagli colossali fatti finora (Siria, Libia, Iraq, Sud Sudan, Darfur, Libano, Kurdistan, Mali, Nigeria, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Congo, Afghanistan, ex Jugoslavia, Ucraina, ecc. ecc. docent).
Intanto la Cina, cacchio cacchio (pian pianino, senza clamore), ha messo il “piedino” in Africa, stabilito relazioni commerciali vantaggiose con molti paesi in cambio di aiuti economici e infrastrutture strategiche (strade, scuole, ferrovie, centrali elettriche, ecc.), concessioni territoriali (milioni di ettari per produzioni agricole intensive, di cui i cinesi hanno estremo bisogno), sfruttamento minerario (fra cui minerali strategici come le terre rare indispensabili per l’industria elettronica e militare) e facilities (ossia punti di appoggio o vere e proprie basi navali) per la loro flotta d’alto mare, ivi compresi i sottomarini a propulsione nucleare.
A noi europei (italiani in primis, anche se fra i meno colpevoli per i guasti perpetrati) non resta che goderci i frutti indigesti della nostra miopia politica e culturale.
Antonio Alei 27.02.17
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Davide Amerio
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