Nel lago della nauseante retorica pro governativa (pro Renzi, pro Riformismo) ogni tanto si apre uno spiraglio di verità che illumina lo stato reale delle situazioni del paese.
Roberta D’Alessandro ricercatrice italiana emigrata in Olanda ha vinto un bando del European Research Council ottenendo un cospicuo finanziamento per le sue ricerche. Poco dopo il ministro del governo Renzi, Stefania Giannini, ha annunciato la notizia complimentandosi con la ricercatrice e gongolando sugli ottimi risultati dei ricercatori italiani.
Peccato che quelle ricerche siano valorizzate, finanziate e utilizzate, per la stragrande maggioranza dei casi, all’estero. L’Italia si fregia di un onore che non merita. In particolare questo governo. Così la D’Alessandro ha sottolineato (sui social) il suo disappunto per questo intervento del ministro, ribadendo che la Giannini non ha alcun diritto di rivendicare un successo dei ricercatori italiani apprezzati e valorizzati all’estero ma non Italia dove la meritocrazia non esiste.
Vada a chiedere alla vincitrice del concorso per linguistica informatica al Politecnico di Milano (con dottorato in estetica, mentre io lavoravo in Microsoft), quante grant ha ottenuto. Vada a chiedere alle due vincitrici del concorso in linguistica inglese, senza dottorato, alla Statale di Milano, quanti fondi hanno ottenuto. Vada a chiedere alla vincitrice del concorso di linguistica inglese, specializzata in tedesco, che vinceva il concorso all’Aquila (mentre io lo vincevo a Cambridge, la settimana dopo) quanti fondi ha ottenuto.
Un sfogo più che legittimo per i nostri ricercatori. La meritocrazia in Italia ha lo stesso peso della “questione morale”. Se ne parla molto ma si fa ben poco e quello fatto è sovente opinabile: pensiamo a quelle disposizioni che “premiano” il dirigente pubblico per aver adempiuto al proprio dovere (sic).
Questa questione del “merito” investe tutti gli ambiti delle nostre istituzioni a iniziare dal settore scolastico. Riconoscere il valore delle persone, e metterle in condizione di esprimere al meglio le proprie capacità, è un fondamento della società contemporanea e del progresso. Nel nostro sistema “feudale”, invece, contano le “appartenenze” più che le “capacità”. Sono preferiti gli “yes man” ai liberi pensatori (sopratutto in politica).
La scuola dovrebbe favorire lo sviluppo delle capacità individuali (come previsto dalla nostra Costituzione), riconoscendo il merito di chiunque si impegna (con le proprie capacità che possono essere ridotte rispetto ad altri, perché non siamo tutti uguali) e quello di chi eccelle. Ma così non avviene. Le nostre strutture burocratiche (a ogni livello scolastico) sono più improntate a gestire centri di “potere” amministrativo e la carenza cronica di fondi, piuttosto che avere lo studente, e la qualità dell’insegnamento, come obiettivo primario.
Nel mondo progrediscono economicamente i paesi che valorizzano la cultura, la scuola, la ricerca. Il paese in cui si legge pochissimo, le scuole cadono in testa agli studenti e i ricercatori sono obbligati a recarsi all’estero è condannato alla marginalità politica, sociale ed economica sul piano internazionale. Altro che “ripresina!”.
Aggrega contenuto