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Pubblichiamo molto volentieri un’analisi sul TTIP realizzato da tre studenti del terzo anno di Economia e Commercio, Corso CLEC, dell’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara.
Il Partenariato transatlantico per il commercio e per gli investimenti, comunemente chiamato TTIP, rappresenta l’accordo di creazione della più grande area di libero scambio che si sia mai avuta. Stando a ciò che riporta il sito della European Commission, il TTIP «è un accordo commerciale che aumenterà gli scambi e gli investimenti tra l’UE e gli Stati Uniti realizzando il potenziale inutilizzato di un mercato transatlantico, generando nuove opportunità economiche di creazione di posti di lavoro e di crescita mediante un maggiore accesso al mercato, una migliore compatibilità normativa e ponendo le basi per la stesura di norme globali».
L’area di libero scambio (secondo fase dell’integrazione economica completa), servirà per integrare il mercato americano con quello europeo. Integrare in che senso? Viene fatta un’armonizzazione delle regole: riducendo i dazi doganali e rimuovendo in una vasta gamma di settori le barriere tariffarie e non, ossia le differenze in regolamenti tecnici, norme e procedure di omologazione, regole sanitarie e fitosanitarie. Capiamoci, le carni europee verranno controllate in Europa ma anche in America, rispettivamente con i propri strumenti, le creme solari testate in entrambi i continenti ecc…
Focalizziamo, ora, la nostra attenzione su tre aspetti principali:
L’accesso al mercato riguarda quattro settori: merci, servizi, investimenti e appalti pubblici. Si prevede l’eliminazione di tutti i dazi sugli scambi bilaterali di merci, la liberalizzazione dei servizi e degli appalti pubblici, dando la possibilità alle aziende europee di partecipare a gare d’appalto statunitensi e viceversa. Viene qui previsto l’inserimento per gli investimenti e la loro tutela dell’arbitrato internazionale Stato-imprese (il cosiddetto ISDS, Investor-State Dispute Settlement), che consente agli investitori di citare in giudizio i governi presso corti arbitrali internazionali. Tra gli obiettivi vi è anche quello di rimuovere gli inutili ostacoli agli scambi e agli investimenti compresi gli ostacoli non tariffari esistenti, mediante meccanismi efficaci ed efficienti, come ad esempio contingenti o barriere tecniche e standard, raggiungendo un livello ambizioso di compatibilità normativa in materia di beni e servizi, mediante il riconoscimento reciproco, l’armonizzazione e il miglioramento della cooperazione tra autorità di regolamentazione. Infine l’ultimo aspetto prevede anche miglioramenti Normativi ponendo le basi per alcune regole globali: si parla di diritti di proprietà intellettuale, di merci rispettose dell’ambiente e a basse emissioni di carbonio, di controlli efficaci, misure antifrode, disposizioni su antitrust, monopoli, fusioni e aiuti di Stato.
Al tutto dobbiamo aggiungere le statistiche pervenuteci direttamente dal Center for Economic Policy Research e dall’Aspen Institute,secondo le quali, il trattato potrebbe portare un aumento del volume degli scambi e in particolare delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti; in termini numerici, l’incremento sarebbe del 28% per gli scambi e compreso tra lo 0.5% e l’1% per il PIL mondiale: le stime vogliono che così, da una parte, ogni famiglia europea potrebbe disporre di 545€ in più all’anno, dall’altra le imprese potrebbero ottenere ulteriori benefici, tratti dalle semplificazioni burocratiche e dalle regolamentazioni che ridurrebbero sia i costi delle ispezioni che quelli delle attività economiche che operano nei due mercati. Insomma questo TTIP, potrebbe veramente cambiare i destini di noi poveri europei ingarbugliati nel circolo vizioso della crisi… Siamo seri, credete che una cosa del genere sia possibile?
Sgretoliamo il castello cercando di semplificare il più possibile la questione. Premettiamo che a noi non dà fastidio la questione TTIP in sé, ma l’ennesima presa per i fondelli da parte dei nostri governi. Perché? Anzitutto l’accordo viene trattato da mesi con la massima segretezza, tant’è vero che se chiedessimo al classico italiano medio (non in termini dispregiativi), di spiegarci sommariamente la questione, molto probabilmente non saprebbe darci una risposta concreta; stavolta però, non è colpa della sua pigrizia nei confronti della vera e giusta informazione, di fatto non sa di cosa si parla semplicemente perché non se ne parla. Già questo dovrebbe farci riflettere.
Ma come, un accordo che potrebbe apportare benefici notevoli alle famiglie europee, e nessuno sa di cosa si parla? Eh no, i conti non tornano. Viene trattato con il massimo riserbo perché in realtà si sta cercando di nascondere la più grande operazione finanziaria mai avvenuta nella storia, e spiegheremo a breve perché. Ci parlano di aumento del PIL per entrambi i continenti, ma stando ai dati del CEPR, si parla di un aumento del PIL (almeno per ciò che concerne l’area Euro) dello 0.48% distribuito in 13 anni, vale a dire un aumento del tasso di crescita medio europeo dello 0,03 % annuo. Quindi con il TTIP la crescita europea si sposterà dall’attuale 1.35% all’ 1.38%, il tutto dando piena fiducia ai mercati. Notevole!
Ma la questione non è finita qui perché, l’aumento di 545 € a famiglia, ci sarà solamente se la distribuzione del reddito rimarrà invariata, se invece la quota salari continuerà a scendere, come sta accadendo, quel surplus non andrà ai salari bensì ai profitti e quindi non tutte le famiglie ne beneficeranno.
Altra sconfortante questione è quella legata alla creazione di nuovi posti di lavoro: il trattato non prevede posti aggiuntivi ma semplicemente dei trasferimenti intersettoriali dei lavoratori, che è ben diverso, perché significa assorbire forza lavoro derivante da settori fallimentari; inoltre, vi sono ulteriori minacce dall’aggiramento delle legislazioni in materia ambientale, permettendo il libero accesso a tecnologie inquinanti nei processi industriali, all’utilizzo di prodotti chimici nel campo agricolo, ossia la questione degli OGM.
Non solo, c’è un altro aspetto fondamentale da chiarire che è quello legato all’ISDS (Investor-State Dispute Settlement). Questo acronimo, infatti, rappresenta uno strumento che dà la possibilità alle aziende straniere (quindi di fatto alle Multinazionali), di citare in giudizio di fronte ad una corte arbitrale uno Stato ospitante, che con le sue leggi leda, violi o limiti i diritti dell’impresa sottoscritti a mezzo TTIP. In breve, se uno Stato applica delle norme che vadano a ripercuotersi negativamente sui profitti di tali aziende (intendiamo Multinazionali con enormi influenze sul mercato), quest’ultime possono, sotto minaccia di sanzioni elevate, ottenere delle liberatorie con scopi puramente lucrativi piegando le scelte democratiche fatte dagli Stati e dai loro popoli.
Le ultime novità in merito, però, fanno sembrare il TTIP diverso dalla fase iniziale (che ricordiamo non essere il 2013 ma il 22 novembre 1990: fase in cui si firmarono una serie di dichiarazioni e accordi transatlantici, che avrebbero celebrato l’inizio di vertici annuali fra Europa e Stati Uniti con l’obbiettivo di promuovere il libero scambio), poiché a quanto detto dal Vice ministro allo sviluppo Economico designato per il commercio estero Carlo Calenda, molti degli aspetti negativi di cui si parla in realtà rappresentano temi su cui si sta ancora discutendo. Il vice ministro stesso, afferma che <<sulla questione degli OGM non verrà modificato il principio di precauzione che regola l’ingresso degli stessi in Europa>> e, cosa più importante, <<non ci saranno privatizzazioni dei servizi pubblici, quindi gli enti locali potranno continuare a gestire acqua, sanità e istruzione>>.
Ricapitoliamo, e come dice Soriano in Maldetti “E’ bene non riflettere troppo, se si desidera giungere a delle conclusioni”. I dubbi che ci assalgono sono tanti: se infatti, in base a quanto detto il 25 ottobre 2015 da Calenda, il TTIP abbia la vera possibilità di apportare tutti questi benefici, perché mai ogni giorno, dal 2013 ad oggi, continuano a verificarsi manifestazioni solo contro il Trattato? Poi, se effettivamente questo non comportasse grandi agevolazioni per i due continenti, in particolar modo per l’America, perché mai si dovrebbe rivedere l’intero assetto normativo, e quindi economico-commerciale, per dei cambiamenti che in realtà non ci sono o sono irrisori? Se i due paesi sono liberi di scegliere, sceglieranno le vecchie e conosciute regole anziché impelagarsi con le nuove. Quindi cosa nasconde in realtà il trattato?
Il TTIP rappresenta come detto all’inizio la creazione della più grande area di libero scambio mai esistita, perché vede due continenti insieme, il vecchio (Europa) e il nuovo (America). Da questa fusione però gli Stati Uniti, che hanno ancora una forte influenza sull’Europa, si stanno praticamente assicurando un nuovo mercato di sbocco, perché con l’aumento di quel famoso 1% di PIL le risorse Americane crescerebbero di parecchi miliardi di dollari, con il rischio che si verrebbe ad applicare quella famosa teoria tra centro e periferia dove noi europei rappresenteremmo la parte periferica. In realtà, l’obbiettivo principale è quello di creare un blocco forte contro il pericolo delle tigri Asiatiche.
Gli States hanno ormai da anni capito che sono una potenza in declino, e così come il ciclo economico vuole si nasce, si cresce, si matura, e più è lunga la fase di maturazione, più tempo si attende per passare alla successiva: il DECLINO; ecco proprio questo, a nostro avviso, si sta cercando di fare: prolungare la terza fase del ciclo allontanando il più possibile la quarta; diciamo questo non perché siamo dei sostenitori dei BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) ma, semplicemente, perché è l’economia che funziona così. Non solo: l’accordo richiama tanto ai trattati bilaterali che venivano stilati prima della seconda guerra mondiale (in particolar modo prima dell’accordo GATT), quindi si parla molto di multilateralismo, ma in realtà esso va lentamente svanendo (e il TTIP ne è una prova). Oggi vediamo nuovamente due “fronti”, Est ed Ovest pronti a darsi battaglia; non con armi propriamente belliche, ma di sicuro a suon di norme, regole, stipendi, diritti sociali e quant’altro. Una cosa è certa, qualsiasi sia lo strumento impiegato porterà con se delle vittime: le armi di distruzione di massa, non fanno tutte rumore nello stesso modo.
Forse sarebbe bello pensare che la strategia di Benjamin Franklin, usata con il suo rivale in politica Norris, potrebbe portare dei risultati positivi, ossia: “se farsi dei nemici può essere troppo rischioso da non ottenere benefici, meglio studiare l’avversario e portarlo dalla propria parte come il più fedele degli alleati”, ma questo purtroppo è impossibile e la proposta di Keynes a Bretton Woods ne è una prova.
Nicola Nocciolino, Sara Rosati, Giulia Salvatore per Scenarieconomici.it
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