Autore
Davide Amerio
di Simonetta Mitola.
E’ partita la 18a edizione di CinemAmbiente a Torino dal 6 all’11 ottobre 2015. Il primo festival che, in Italia, ha presentato e promosso il cinema ambientale. Quest’anno è stata introdotta la dimensione del nutrimento, tema portante di Expo 2015. E la prima serata ha visto la proiezione del film documentario 10 Billion – What’ on your plate? del tedesco Valentin Thurn che parte da alcuni interrogativi: cosa mangeremo nel 2050 quando saremo 10 miliardi? Come mai un terzo dei raccolti di tutto il mondo viene sprecato?
Il regista, autore nel 2011 del film Taste the waste sulla quantità di cibo acquistato e finito nella spazzatura, realizza una sorta di sequel. Intervistato via skype prima della proiezione ha raccontato “Sono partito dalle richieste delle persone che mi chiedevano di indagare e di capire perché i raccolti vengano sprecati. I temi in questione sono molto complessi e non possono avere risposte univoche. Il titolo che ho scelto “10 Billion” (10 miliardi) rappresenta il numero massimo che la popolazione potrebbe raggiungere nel 2050. Ma il vero problema non è quante sono le persone nel mondo, ma che cosa mangiano”. Il film documentario compie il giro del pianeta: Thailandia, Germania, India, Mozambico, Giappone, Canada, Olanda alla ricerca di alcune risposte.
La soluzione possono essere gli insetti? In Thailandia si mangiano cavallette e vermi fritti a prezzi bassi, ma potranno nutrire tutti? I terreni sono in diminuzione, una persona su tre è malnutrita. Le produzioni non bastano a sfamare tutti ed è ipotizzabile una guerra per il cibo. Per questo il regista è andato in Germania a visitare gli stabilimenti della Bayer che producono semi utilizzando l’ingegneria genetica. Gli ibridi, come vengono chiamati i semi prodotti in laboratorio, rendono il 20% in più rispetto a quelli tradizionali. Il problema è che, ogni anno, i coltivatori devono comprarli dalle industrie.
Ma i semi chimici non sono la soluzione. In India, dove inondazioni e alluvioni sono frequenti, gli ibridi non sopravvivono. Quelli tradizionali invece sì. Sono geneticamente abituati a sopravvivere all’acqua. A Balasore, in India, è stata creata una Banca che custodisce i semi agricoli. Il regista incontra la responsabile che racconta: “Amo i semi come fossero miei figli e li voglio proteggere. In India esistono 727 specie di riso. E’ importante che i semi siano dei produttori e non delle industrie chimiche”.
Un altro aspetto negativo degli ibridi è che hanno bisogno di concimi e pesticidi per sopravvivere. Concimi e pesticidi che fanno ammalare le persone. Il film torna in Germania. Una ruspa scava montagne di polvere bianca nelle viscere della terra. Si tratta di fertilizzante minerale, inventato 150 anni fa. E proprio il fertilizzante minerale e quello all’azoto stanno alla base dell’agricoltura industriale. “Senza i fertilizzanti minerali la produttività crollerebbe e il problema della fame nel mondo aumenterebbe” riferisce il responsabile della cava. Anche se evidenzia che, fra circa 50 anni, le risorse sono destinate ad esaurirsi. E poi? Gli agricoltori biologici usano il trifoglio. Certo, la loro produzione è di un quarto inferiore. Ma chi rispetta di più l’ambiente?
Il regista torna in India a visitare un allevamento industriale di pollame. Gli indiani sono per il 40% vegetariani, ma stanno cominciando a mangiare carne. E che carne. Pulcini ammassati, gonfiati con punture di antibiotici e ormoni. Diventano grandi più velocemente ma a che prezzo? L’impianto di produzione intensiva di pollame ha imitato il modello tedesco, e lo ha addirittura superato. Ogni settimana vengono prodotti 7 milioni di polli, sono i primi in India, e la loro carne è destinata soprattutto agli Stati Uniti. Ma la produzione di carne ha un impatto molto negativo sull’ambiente. Se tutto il mondo volesse mangiare carne come gli occidentali ci vorrebbero tre pianeti!
I polli coltivati in modo biologico passeggiano felici nei prati, insieme a mucche e maiali, invece di stare ammassati nelle gabbie. Certo, costano dalle 4 alle 5 volte in più, ma forse è meglio mangiare meno carne ma di qualità, evidenzia il regista Thurn. Alcuni coltivatori biologici ne sono convinti e hanno osservato vantaggi non irrilevanti dall’allevamento di più specie animali insieme. Inoltre le mucche che brucano l’erba non si pongono in concorrenza con l’uomo per quanto riguarda la produzione di cibo, mentre le mucche che mangiano foraggio sì. Per un terzo della produzione, infatti, il foraggio è destinato agli animali.
Il film si sposta in Mozambico presso una coltivazione di soia. Il pollo che si acquista al supermercato a 2,99 euro non sarebbe possibile senza la soia. In Mozambico i piccoli coltivatori vengono espropriati dei loro appezzamenti di terreno, non registrati al catasto, e assistono impotenti all’espandersi delle coltivazioni intensive. L’agricoltura industriale produce a bassi costi ma non potrà comunque farlo per sempre.
Il viaggio continua in Giappone. Sembra di assistere a un film di fantascienza. Uomini vestiti da astronauti manovrano pulsanti presso un impianto che produce insalata. Un’insalata prodotta in laboratorio, non nata nella terra, dal momento che in Giappone il terreno scarseggia. Le piantine crescono in teche di cristallo illuminate da luci violacee all’interno di una sorta di grattacielo che sfrutta l’altezza. E la produzione è molto soddisfacente: 9 raccolti all’anno contro i 2 dell’insalata cresciuta con i metodi tradizionali. Il responsabile sottolinea: “Il terreno contiene batteri ed è incontrollabile. In laboratorio, invece, riusciamo a controllare tutto”.
Ma finalmente arriva la soluzione alla fame nel mondo: la carne prodotta in laboratorio. In Olanda sono convinti che in questo modo si risolveranno tutti i problemi. Si parte da un campione di tessuto della mucca, si preleva una cellula staminale dalla quale si possono ottenere fino a 10 milioni di cellule analoghe. Il responsabile del progetto mostra un hamburger prodotto con la carne sintetica, stanno cercando di realizzarlo il più possibile simile al vero per colore, consistenza, gusto. Lo butta in padella e lo fa bruciacchiare perché distratto dall’intervista. Poi lo inserisce in un panino e lo morde. La faccia è più esplicativa di mille parole, ma afferma : “Buono. Certo ci dobbiamo ancora lavorare”. Allora, buon lavoro!
(S.M. 09.10.15)
Davide Amerio
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