Ogni giorno sui social network emergono aspetti osceni che deformano il significato di Internet come rete partecipativa e la pongono, invece, come mero contenitore invasivo.
Ogni giorno sui social network emergono aspetti osceni che deformano il significato di Internet come rete partecipativa e la pongono, invece, come mero contenitore invasivo.
I social medi(a) manager hanno, infatti, l’arduo compito di rendere virale ciò che banale, di convincere persone, gruppi e reti a collegarsi a iniziative di marketing 0.0
Un trend in atto è quello di creare community di consumatori attraverso la personalizzazione del packaging del prodotto, tecnica questa peraltro riconducibile al naming già in auge da almeno due decenni.
Vediamone un esempio.
Nutella, pagando un'inserzione sponsorizzata su Twitter, invita tutta l’utenza di questo social? network a inviargli un breve messaggio, la propria foto. In cambio Nutella risponde mandando l’etichetta del celebre cioccolato spalmabile personalizzata con le informazioni che l'utente Twitter gli ha donato gratuitamente e inconsapevolmente.
In questo modo Nutella lo aggiunge alla sua community, conosce il suo nick, legge i suoi tweet, segue i suoi interessi e lo inserisce, infine, all’interno del prodotto in un modo falsamente dinamico ma del tutto passivo, come un ingrediente stampato tra il logo e il codice EAN.
Nessuno dei due veri protagonisti di questa operzione (Nutella e Twitter) comprende che il risultato finale sarà al più mediocre: Twitter diventa un canale mass media sempre più televiso - come peraltro si osserva da tempo - estraneo da logiche puramente virali; Nutella, da parte sua, non ottiene una community (meno che mai collaborativa) ma un gruppo di consumatori ludici che spalmano se stessi su un cioccolato che già conoscono e che, al limite, ricompreranno se già non dispongono di una confezione dove appore il loro volto-prodotto.
“Che mondo sarebbe senza Nutella”, come recita un famoso slogan della Ferrero, non lo sappiamo ancora ma un tentativo per capirlo credo valga la pena farlo, se vogliamo proteggere la nostra libertà di intendere un prodotto che genera profitto come tale e non oltre.
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