Fioccando le foto sui social, non ho potuto fare a meno di notare quale bisogno di ritualità, cerimoniali e appartenenza abbiano le persone. Tanto varrebbe, quasi quasi, tornare a messa. Alcuni ritrovano la spiritualità nei negozi della Apple, minimal e bianchi, una sorta di paradiso in terra: etereo, felice, neutro.
I torinesi invece sono andati, con lo stesso atteggiamento e la stessa predisposizione mentale, al Salone del Libro, a vedere Tiziano Ferro (sì, non ho detto ascoltare o sentire) e a vedere il Papa (sì, non ho detto ascoltare o sentire).
Foto, come dicevo in apertura, a fiumi; sorrisi; entusiasmo. Ma tutto questo, e non c’è nulla di male purché lo si comprendesse, solo per sentirsi parte di qualcosa.
Del Papa non ti saprebbero ripetere una parola, se non forse qualche slogan ad effetto o uno sterile generico riassunto. Ma ti parlano di atmosfera, energia, tanta gente, bella giornata. Di Tiziano Ferro ti parlano di maxi-schermi, luci e lui che viene catapultato o vola; non ti dicono le parole di una canzone o le note di una melodia o gli spunti di un arrangiamento. Dal Salone del Libro, tornano semmai con qualche depliant, qualche gadget, forse un libro che avrebbero trovato su Amazon o in qualunque altra libreria. Poi durante l’anno non leggono o leggono pochissimo. Ed il Salone, appunto, non resta che un evento al quale partecipare, un rito al quale aderire: a Torino non aprono nuove librerie, anzi ne chiudono; non si legge di più né si legge di meno; le conferenze registrano buoni numeri solo quando a tenerle è un personaggio già passato in televisione.
I dati sono in fondo veritieri, ma del tutto basati su mie istanze al fine di semplificare la polemica.
Per chiarezza: mi piace Tiziano Ferro, sono contento ci sia il Salone del Libro e compatisco il Papa: gesuita e quindi coltissimo che è costretto a sorbirsi boy-scout, canzonette, retorica a fiumi e fare finta di credere nella Sindone.
Carissimi: la ritualità è importantissima, non cercatela nell’intrattenimento.
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