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Mario Guglielminetti - @mariogug
"Il Capitalismo ha vinto!” Slogan ripetuto come un mantra per decenni dalla caduta dei Paesi comunisti per i trent’anni successivi attraverso tutti i processi economico-finanziari che si sono susseguiti (svalutazioni, globalizzazione, moneta unica, crisi, cambio energetico…). Nel frattempo qualcuno ha cercato di indentificare la deriva del Capitalismo, qualcun altro si è affrettato a dire che gli studi di Marx era ormai obsoleti, altri hanno profetizzato che un altro sistema non era pensabile.
Negli ultimo quinquennio però il Capitalismo in Europa (compresa la Germania) non ha vinto ma ha dovuto modificare in modo rilevante la sua natura di sistema atto alla crescita economica. In questo senso, le scelte fatte in suo nome (spesso sbagliate) prese dagli alfieri del Capitalismo che possiamo qui riunire nella Troika (BCE, FMI, Commissione europea) sono state in buona sintesi tre che hanno caratterizzato la fase post-crisi:
1. ELIMINARE LA LOTTA DI CLASSE: depressione della domanda interna al fine di acuire il divario di ricchezza tra un élite molto agiata e una massa in costante rischio povertà.
2. CREARE IL DEBITO SOCIALE: indebitamento attraverso gli Enti pubblici (dallo Stato agli organi periferici) del singolo cittadino con le Banche e i Gruppi finanziari collegati alla troika.
3. SFRUTTARE IL MERCATO-FAMIGLIA: Attacco al risparmio privato come ultima frontiera redditizia attraverso forme di tassazione non equilibrate se rapportate ai servizi offerti e al livello di reddito medio della popolazione.
Queste scelte non sono state l’effetto, come racconta la Troika supportata da una mobilitazione senza precedenti della maggior parte degli organi di stampa, di politiche sbagliate o di investimenti non coretti da parte delle economie nazionali che, per quanto siano certamente avvenute (Grecia su tutte), potevano essere gestite in modo da non creare una situazione di emergenza continua che dal 2011 (anno in cui è finita la crisi) al 2014 (anno in cui si è completata la fase post-crisi) ha di fatto ridefinito il posizionamento delle forze produttive in campo. Se, infatti, come diceva Marx il capitalista è “colui che detiene i mezzi di produzione”, appare chiaro in questi primi mesi del 2015 (caratterizzati dalla decisione di immettere denaro – quantitative easing - da parte della BCE a presunto rilancio dell’economie europee ma in effetti a protezione dei propri investimenti) che questi mezzi non sono più materie prime, manodopera e tecnologie di trasformazione ma unicamente strumenti finanziari che spostano ingenti flussi di denaro.
Queste scelte, quindi, sono state la causa che una precisa strategia – chiamata beffardamente austerity, un modo elegante per dire: “noi pochissimi cresciamo, voi tantissimi perdete” - ha posto in essere un nuovo credo la colonizzazione a base speculativa (che prevede di guadagnare non più sostenendo la crescita a medio-lungo termine dell’economia di uno Stato ma scommettendo a breve termine sui differenziali finanziari positivi o negativi delle varie economie nazionali) - su cui basare un ordine che finalmente potesse appropriarsi dell’unico continente rimasto disponibile: l’Europa.
La colonizzazione speculativa, non solo economica ma anche socioculturale come dimostra il livello infino nel dare un’informazione corretta raggiunto dagli organi di stampa, avvenuta in questi ultimi cinque anni non è stata ordita da lontano ma dall’interno dell’Europa, trasversalmente ai confini politici, non riconducibile quindi a un solo Paese (la Germania certamente ha guidato questo processo ma essa stessa non è esente dall’essere colonizzata e in parte già lo è stata), che forte di una potenza di fuoco finanziaria facilmente iniettabile nelle varie economie nazionali grazie allo sviluppo dei sistemi di digitalizzazione della finanza ha creato un sistema per cui i governi nazionali sono divenuti filiali di grandi gruppi speculativi protetti e tutelati dalla Troika.
E come la storia insegna prontamente per sostenere questo nuovo ordine coloniale sono stati creati, o meglio allevati, i nuovi fronti contro cui battersi tutti insieme: il primo, quello continentale, la Russia; il secondo, quello internazionale, l’islamismo del vicino oriente; il terzo, quello domestico, il populismo politico.
Ed ecco che il Capitalismo, caratterizzato per decenni dal progresso economico libero e indiscriminato dei mercati e dei suoi competitor vincenti, è passato dall’essere un capitalismo di mercato, di competizione e di concorrenza intriso di una visione pseudo-democratica - “tutti possiamo farcela” - al divenire un capitalismo di ordine, di posizione e di interesse permeato da un’ottica realmente oligarchica – “solo noi ce l’abbiamo fatta”, come la Lista Falciani docet.
Mario Guglielminetti - @mariogug
On-line dal 13-02-2015 questa pagina
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