Leggo in questi giorni molti post su Charlie Hebdo che francamente paiono di una banalità disarmante.
La satira - etimo: "miscuglio di offerte agli dei" da cui "genere letterario farcito da più generi in modo disordinato" - si sviluppata per mostrare le contraddizioni dell'agire umano, dalla società alla politica, alla religione.
La satira è il mezzo sarcastico (dal greco sarcazo "lacerare le carni"), anche offensivo, che l'uomo usa per denunciare le offese ricevute. Non è necessariamente un territorio del buon gusto, dell'eleganza o del savoir dire ma è evidentemente il campo non arato in cui i satiri sghignazzano e sbeffeggiano il mondo che li circonda.
La satira sceglie la matita e il pennarello, pochi tratti e una nuvoletta, per sbattere velocemente in faccia quello che non si dice per paura, per pudore o per rassegnazione. La satira è un modo di essere non di fare, un modo di vivere non di lavorare.
Legittimo non trovarsi d’accordo con vignette che toccano gli aspetti spirituali o religiosi, altrettanto opportuno evidenziare le provocazioni troppo forti ma, suvvia, in un contesto sociale che tollera pornografia a tutti i livelli e continuo ladrocinio del bene pubblico non guardiamo ai satiri come agitatori particolarmente pericolosi e proviamo, invece, a creare un sistema di regole e valori che li metta in condizione di non disegnare più.
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