Durante la sua prigionia negli anni’30 del XX secolo Antonio Gramsci evidenziava nei Quaderni – editi postumi per la prima volta nel 1949 - il ruolo degli "intellettuali organici" ovvero coloro che erano in grado di fornire un apporto essenziale alla costruzione dell'egemonia culturale di un contesto rivoluzionario di lotta di classe che riscattasse il proletariato.
In seguito, Pier Paolo Pasolini, a partire dalla fine degli anni ’60, sottolineò più volte come gli intellettuali finissero per chiudersi in un perimetro raffinato in cui esercitavano una critica sterile e astratta, divenendo una sorta di casta e assumendo un ruolo dopotutto conservatore, incapace di vedere i cambiamenti in atto e le opportunità di ridefinire la cultura da essi derivanti.
La società dello spettacolo, profetizzata nello stesso periodo (1967) da Guy Debord, ha concluso, per certi versi il processo di descrizione della figura dell’intellettuale spostando gli intellettuali organici di matrice gramsciana dal confine rivoluzionario a un limite che li pone spesso come guardiani delle strutture di potere esistenti e quelli elitari di analisi pasoliniana non più solo conservatori arroccati nei loro salotti ma purtroppo quasi sempre estranei al continuo cambiamento sociale. Accanto a questi due gruppi la società spettacolarizzata ha introdotto un terzo gruppo, in rapida ascesa: l’intellettuale di scena o “scenico”.
L’intellettuale di scena è di un prodotto non un risultato delle Università o di altre Istituzioni scientifiche, fatto questo che lo pone non come un pensatore con competenze certificate su determinati settori disciplinari ma più un operatore culturale che intende la cultura come un palcoscenico a suo uso e consumo, in cui proporre il suo personaggio che con fare ondivago cerca costantemente occasioni di visibilità e notorietà, piuttosto che di miglioramento del suo livello culturale.
Lo scenico è spesso un emarginato dalle Istituzioni culturali che, in Italia specialmente, sono territorio privilegiato degli intellettuali elitari, abili ad annusare subito gli “scenici” e la loro intenzione culturale orientata al mondo della televisione, ambito questo che li sposta verso gli organici. Lo scenico, sia detto, non va confuso con l’artista che si autoproduce o con il l’imprenditore che usa la cultura per i suoi fini, figure queste criticabili eventualmente per i modi, propri o meno, con cui intendano perseguire i loro fini e non per gli stessi.
L’intellettuale di scena sente, invece, di potere coniugare aspetti organici ed elitari, università e media, cattedra ed eventi, e bruciato dal fuoco di un successo, quale unica ricompensa dei suoi sforzi, si presta indiscriminatamente a presenziare a qualsivoglia progetto culturale, improvvisandosi organizzatore o moderatore e, nel peggiore dei casi, diviene autore e quindi artista. In questo senso egli perde ogni funzione intellettuale e pervaso da un passione o giovanile o momentanea o, raramente, scientifica crea “un’opera”, generalmente un testo scritto, spesso spinto da un’altra persona senza grande istruzione che ambisce a sua volta ad avere un posizionamento nel modo della cultura.
Siffatta opera, spesso composta velocemente e senza un’attività di ricerca che ne avvalori i contenuti, per assumere un qualche valore culturale ha due strade che possono anche intersecarsi: o trovare un intellettuale organico che ne avvalori la portata a livello di comunicazione o essere scelta come rilevante da un intellettuale elitario che ne sancisca l’ispirazione.
A questo punto l’intellettuale scenico si definisce di avanguardia, intendendo questa qualità non per definirsi “un passo avanti” ma un “passo accanto” a quel mondo promozionale che lo deve elevare a personaggio mediatico, spendibile in televisione come in un convegno o sulla carta stampata come su un profilo Facebook.
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