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Sistema Torino
Nonostante l’Italia scopra adesso il concetto, in realtà è esistente dai primi anni Sessanta e dunque vanta cinquant’anni di storia, di dibattiti e di mutamenti. Di conseguenza, esistono molte forme di gentrification e in questo momento il concetto è talmente vasto da indicare la maggior parte delle trasformazioni urbane. Per dire, la definizione più utilizzata ora, descrive la gentrification come “la produzione dello spazio urbano per utenti progressivamente più ricchi”.
Se dal generale ci soffermiamo sul locale, quello che è successo nel Quadrilatero è molto diverso da quello che è accaduto successivamente a San Salvario o Vanchiglia. Nel primo caso, infatti, quell’area è stata oggetto di una riqualificazione pensata già negli anni Ottanta, realizzata nel corso dei Novanta e i cui effetti più significativi si sono visti dai Duemila in poi. In un certo senso, il Quadrilatero Romano è un esempio “classico” di gentrification perché vi hanno attivamente partecipato il pubblico, con attori diversi come il Comune, la Regione o l’Unione Europea, in forte sinergia con il privato, in particolare la De.Ga. Nonostante non abbia allontanato direttamente molti abitanti, che erano già fuggiti dal Quadrilatero degradato degli anni Ottanta, di sicuro la riqualificazione ha agito da barriera classista nei confronti di tutta quella fascia di popolazione che non poteva permettersi affitti e acquisti dagli anni Novanta in poi. San Salvario e Vanchiglia, invece raccontano una storia diversa. In primo luogo, i loro cambiamenti non avvengono con un diretto e visibile intervento pubblico e, in fondo, vi sono pochi interventi urbanistici in questi due quartieri. In secondo luogo, in entrambe queste aree si può osservare della gentrification non tanto dal punto di vista residenziale, ma da quello commerciale. Non è mutata radicalmente la loro composizione sociale, anche se si è progres
La rendita fondiaria sarà uno strumento di integrazione al salario per la nuova classe media?
Non vi è dubbio sul fatto che “essere una nazione di proprietari di casa” ha, per molti versi, salvato le famiglie italiane (che sono in larga misura proprietarie) dal rischio di perdere il proprio tetto in seguito alla crisi. Le esposizioni finanziarie delle famiglie italiane non sono, infatti, paragonabili a quelle americane o anche a quelle spagnole. Di conseguenza possedere la casa o sapere di poterci contare in futuro, è una risorsa molto importante, soprattutto per le classi medie. C’è però un “ma” molto importante. La trasmissione da una generazione all’altra della casa ha beneficiato i figli del boom economico, i cosiddetti “baby boomers”, ma non è detto che questi riescano sempre o, in tempo, a trasmetterla ai loro figli. Non è un caso infatti che molti esposti all’indebitamento creditizio per un mutuo fossero coppie giovani, dunque più fragili dei loro genitori se pensiamo al tipo di mercato del lavoro in cui galleggiano. L’altro “ma”, riguarda tutti coloro i quali la casa o non sono mai riusciti a comprarla, e penso alle classi popolari e, in particolare, a quei nuclei che erano ben tutelati in passato dall’edilizia popolare, o coloro i quali sono arrivati nel nostro paese come immigrati a partire dall’ultimo trentennio e che, per definizione, hanno redditi più bassi e non possono contare su alcuna eredità familiare (non qui in Italia, almeno). Ecco, classi popolari autoctone e classi popolari immigrate non potranno giovarsi della rendita fondiaria. E, a giudicare dall’aumento delle disuguaglianze in corso in tutto il pianeta, la loro posizione non potrà che peggiorare, a meno di un cambiamento di rotta che francamente non vedo.
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