Autore
Simone Cutri
Una combinazione fatale di fattori mi ha sempre portato ad essere molto severo con me stesso, che questo sia un pregio o sia un difetto: la consapevolezza di avere una sola opportunità carnale/materiale/corporea sul pianeta Terra, l’alto senso dell’Esistenza che fugge, l’immenso rispetto per la Morte e la Fine di tutte le cose e, soprattutto, l’Onestà: intellettuale, nei giudizi, nei confronti degli altri e di me medesimo. Senza che sia uno stucchevole rammarico post-adolescenziale, sostengo con serenità di essere sempre stato molto onesto con me stesso (forse persino troppo) e troppo esigente nell’analisi dei miei risultati.
Tanto è vero che, a oltre 30 anni, mi auto-giudico un poco di buono. È presto per dirlo? Non lo so, il mio Paese mi ha abituato così. Credo di essere molto al di sotto delle mie aspettative e di quelle di chi mi circonda; credo di non aver ottenuto praticamente niente; credo di non aver costruito nulla; credo di aver sprecato gran parte della mia vita, se si eccettua l’infanzia dorata. Non ho realizzato nemmeno uno dei miei sogni e temo, realisticamente, non li realizzerò mai. Vivrò sempre col rammarico di non essere stato amato da certe donne, non aver giocato in serie A, non aver riempito stadi e palazzetti in qualità di rock-star, non essermi mai tolto quegli sfizi che tanto mi fanno gola. Le cose che faccio e che scrivo hanno, a ben guardare, un consenso minimo e pochissimo pubblico; sono inadatto al 97% delle situazioni a cui infatti non partecipo; non mi piace quasi nulla; mi annoio sempre e sono fuori da ogni cosa che conta: innanzitutto per demeriti miei, mie incapacità, mia infinita pigrizia, mio disilluso nichilismo; e poi anche per la mia misera condizione economica, la mia classe sociale (che definirei “borghesia illusoria”), l’essere fuori dal giro, non avere conoscenze, non affiliarmi a clan politici, non essere catto o comunista o, volesse il cielo, tutt’e due insieme.
Poi, d’un tratto, è arrivato il Positivity Challenge.
E qui comincia la parte in cui mi renderò antipatico e perderò qualche amico.
Il Positivity Challenge è, in sostanza e per farla breve, una sorta di catena che si è imposta ultimamente su Facebook. I nominati devono scrivere 3 cose positive della loro giornata per 5 giorni consecutivi ed ogni volta, ovvero ogni giorno, devono nominare altri due sciagurati affinché facciano lo stesso.
Bene, grazie a questa ondata di forzato ottimismo, mi sono rivalutato alla grande, rilanciandomi nell’Olimpo degli umani più felici al mondo. Ho scoperto che le persone giudicano positive ed incredibili e meravigliose e commoventi talune cose che per me rappresentano, se non la normale amministrazione, addirittura una scocciatura. Mi sono accorto di quanto da lassù, chissà chi?, vi abbiano fatto bere la retorica delle piccole cose, la gioia delle piccole cose, la dignità delle piccole cose. Mi sono accorto del pericolosissimo restringimento della forbice: non riusciamo più ad apprezzare le cose stupende ed innalziamo a straordinarie quelle di poco conto. Ho visto fioccare cose positive da tutto il mondo: mai qualcuna che avesse in sé qualcosa di davvero speciale: tutti avvenimenti quotidiani e di routine.
Dunque il problema è questo: davvero abbiamo vite cose piatte? Se sì, ed è normale che sia così non vivendo in un film, evitiamo di forzarci ad apparire vincenti, sorridenti, felici e contenti: rinunciamo al cimento. Se mi avessero nominato, io non avrei saputo cosa scrivere. Forse soltanto: sono ancora vivo, le persone care stanno bene, ho fantasticato alla grande grazie ad un filmato porno trovato sul web.
Oppure il problema, dietro-logicamente, è questo: per tenerci buoni, ci hanno insegnato a pretendere pochissimo, ad essere contenti delle briciole, a ritenere una gran fortuna cose che dovrebbero essere condizioni minime e necessarie e sufficienti per essere felici: il lavoro, due soldini, una cena fuori, avere bambini che siano contenti di vederci, di sorriderci, di giocare con noi.
Potessi fare nomi e cognomi e palesare alcuni momenti positivi che ho visto scritti qua e là ci sarebbe da ridere. Invece piango: il benessere copre una miseria umana che non ha pari nella Storia: una pochezza, una mancanza di slanci e dignità da far invidia ai personaggi dell’impareggiabile Viaggio al termine della notte di Céline.
Quindi grazie al Positivity Challenge sono rinato, mi sono riconsiderato, ho acquisito una nuova coscienza di me: niente male. E mi scuso se questo OffPost è frammentario, tratta un tema frivolo e non raggiunge la profondità dei precedenti. Ma oggi mi sono successe tre cose positive e, essendo felice, non ho avuto voglia di scrivere.
Simone Cutri
On-line dal 01-12-2014 questa pagina
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