Lo sterminato Patrimonio culturale italiano vive un momento molto difficile e complesso in cui occorre, da una parte, garantire urgentemente la sua salvaguardia e valorizzazione, dall’altra trovare velocemente nuove forme di coinvolgimento capaci di appassionare persone, reti e comunità.
In questo senso continuare a leggere, e mai rileggere, alcune delle note, scritte ormai quaranta anni fa, di Pier Paolo Pasolini sulla cultura apre a un’esperienza intellettuale che può, anzi deve, ispirare tutti i portatori di capitale culturale a sentirsi parte in causa di una lotta il cui inizio comincia ogni giorno e la cui fine non può esistere.
La critica pasoliniana individua il declino, ancora odierno, della figura dell’intellettuale: “L’intellettuale è dove l’industria culturale lo colloca: perché e come il mercato lo vuole. In altre parole, l’intellettuale non è più guida spirituale di popolo o borghesia in lotta (o appena reduci da una lotta). Ma, per dirla tutta, è il buffone di un popolo o di una borghesia in pace con la propria coscienza e quindi in cerca di evasioni piacevoli.”
Pasolini indica quale dovrebbe essere la motivazione di questa lotta: “Per amare la cultura occorre una forte vitalità. Perché la cultura – in senso specifico o meglio classista – è un possesso e niente necessità di una più accanita e matta energia che il desiderio di possesso” e suggerisce quale sia il contesto di questa lotta: “La poesia non è merce perché non è consumabile. È ora di dirlo: questa di paragonare l’opera d’arte a un prodotto e i suoi destinatari a dei consumatori può essere una divertente metafora ma nient’altro. Se qualcuno dice una cosa del genere è un imbecille, la poesia non è prodotta in serie, cioè non è un prodotto. E un lettore può leggere una poesia un milione di volte senza consumarla. Anzi forse la milionesima volta la poesia gli potrà sembrare più strana e nuova e scandalosa che la prima volta.”
Pasolini pone a riguardo dei Beni culturali un ammonimento deciso e pessimista: “I monumenti, le cose antiche, le facciate dei palazzi, tutto questo, reso antropomorfico e come divinizzato in una Figura unica e cosciente, si è accorto di non essere più amato, di sopravvivere. E allora ha deciso di uccidersi: un suicidio lento e senza clamore, inarrestabile. Se un bambino sente che non è amato e desiderato – si sente “in più” – inconsciamente decide di ammalarsi e morire e ciò accade. Così stanno facendo le cose del passato, pietre, legni, colori.”
Oggi, nell’era della condivisione e della partecipazione digitale, l’analisi pasoliniana torna d’attualità per due ragioni di fondo: la prima tocca l’impegno degli intellettuali e degli artisti che non devono cercare ossessivamente un’avanguardia, spesso espressione del mercato culturale, ma devono presidiare la retroguardia della cultura ponendo al centro della loro azione la tutela del Patrimonio culturale; la seconda, invece, riguarda la ricerca di quella “milionesima volta” che, grazie agli strumenti della rete diviene una prospettiva reale se, e solo se, a tutti venga concesso, a diverso livello e titolo, di venire coinvolti in un processo socioculturale di responsabilità culturale collettiva.
Autore
Mario Guglielminetti / info@cultrack.net - @mariogug
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